di Ricci/Forte

Regia di Stefano Ricci

Visto al Teatro Elfo Puccini di Milano_18-20 Aprile 2011

Chi conosce, almeno un poco, il lavoro di Stefano Ricci e Gianni Forte sa che l’esordio da Mulino Bianco che accoglie gli spettatori con le note di White Christmas e uno scintillante albero di Natale non preannuncia nulla di buono. Infatti, a ben guardare, gli attori che addobbano l’albero indossano plasticose maschere da Titti e Silvestro, e, a guardare ancora meglio, in un angolo è sdraiato un altro attore, nudo su un tavolo che ricorda quello di un obitorio. No, non c’è da stare tranquilli.

“Pinter’s anatomy” – il terzo spettacolo della retrospettiva dedicata dal Teatro Elfo Puccini al duo teatrale più glamour del momento – si muove nella stessa prospettiva di “Macadamia Nut Brittle”: un mosaico di frammenti, brutali e apparentemente scollegati, che assume senso soltanto visto da lontano. “Troia’s discount ha rappresentato per noi la punta più alta di un certo percorso. Pinter’s Anatomy, come Macadamia, sono l’inizio di una strada nuova”, spiega Gianni Forte.
Ma questa volta, ad essere approfondito è il rapporto con lo spazio e con il pubblico. L’azione scenica si svolge nello spazio antistante ai camerini: una più grande anticamera e due piccoli loculi – potrebbero essere due vetrine – dove le immagini restano quasi incastonate. È luogo di studiata casualità: come ci trovassimo, accidentalmente, in un angolo di casa ad assistere ad un privato inferno quotidiano. A poter entrare sono soltanto 15 spettatori che vengono accompagnati e posizionati sul muro, in piedi, pronti per un’esecuzione volontaria. E gli attori non esitano a colpire: si avvicinano, osservano, chiedono di scrivere il nome su un cartoncino, commentano quello che vedono facendolo proprio (“ho scelto una camicia bianca stirata di fresco, per far risaltare la mia leggera abbronzatura”, dice Anna guardando fisso negli occhi il proprio doppio abbronzato in camicia bianca, che abbassa gli occhi, arrossendo).

Sono di straordinaria generosità, gli attori di Ricci e Forte: si donano al pubblico senza difese, compiono ogni azione con un’energia resa ancor più sorprendente dal pensiero delle sei repliche consecutive giornaliere. I segni della loro esperienza li imprimono sul corpo: un corpo che viene squassato, abusato e violentato più o meno apertamente nel corso della performance, sotto luci fredde e asettiche. L’unica attrice donna viene maneggiata senza cura dai tre uomini, che lasciano sulla sua pelle nuda i segni delle loro mani sporche; un uomo viene preso a calci mentre un’implacabile cronista gli avvicina il microfono alla bocca per raccogliere le sue rantolanti dichiarazioni; le mani dei Titti e Silvestro di plastica deformano il volto di una coppia, insinuandosi nei loro occhi e nelle loro gengive.

E dove sta Pinter, in tutto questo? Anatomizzata – come preannuncia il titolo – mangiata e poi vomitata, l’eredità del premio Nobel si rintraccia nella violenza tra uomo e donna, nella rapidità e causticità dello scontro tra essere umani, nelle dinamiche e nei giochi di identità. La sfida – nata all’interno del progetto Living things-Harold Pinter promosso dal CSS di Udine –  è proprio quella che l’autore, lontano dalla lettera dei suoi testi, possa nascondersi tra internet, oggetti di consumo, marche e brand. Perché nella poetica di Ricci e Forte ogni confine tra altro e basso, tra colto e pop è destinato ad essere scavalcato quando non cancellato dallo sguardo della nostra nevrotica contemporaneità: non ci si stupisca, allora, di trovare “H&M” accanto a espressioni come “terra nullius”, e citazioni da Kafka insieme alle coreografie di “Single Lady” di Beyoncé.

Maddalena Giovannelli