testo e regia di Fausto Paravidino
visto al Teatro Franco Parenti di Milano
dal 10 al 17 ottobre 2012

Chiedere a un estraneo di entrare nella tua casa più privata, quella del dolore, e di farci un giro, cercando di guardare ma non toccare, non è cosa semplice. Ci prova Fausto Paravidino, che porta lo spettatore dentro le pagine del diario di sua madre Maria Pia, morta per un male incurabile. Ti dice di stare lì ad ascoltare, che la livella arriva prima o poi, ma forse si può cercare di affrontare l’ultimo tabù rimasto su questa terra semplicemente come fosse l’atto meno felice di una commedia ben più riuscita, la vita.

A 36 anni Paravidino ha già scritto una dozzina di commedie in Italia e all’estero, recitato in teatro, cinema e tv, firmato un film. È amatissimo in Francia, ha tradotto Shakespeare e Pinter, scritto per la radio e, come regista, messo in scena lavori suoi e altrui. Da lui ci si aspetta ormai moltissimo e non sorprende allora che fuori dalla penultima replica de Il Diario di Maria Pia, al Franco Parenti, ci sia chi storce il naso. Qualcuno è anche uscito durante lo spettacolo. Chi sperava in rielaborazioni sul tema della morte, trasfigurazioni ironiche, giochi linguistici o altro, per forza sarà rimasto deluso. Il diario di Maria Pia è, semplicemente, un diario. Una cronaca. Tutto è molto vero, molto concreto. Non c’è niente di ben oliato, non c’è niente di drammaturgicamente forte. Anzi, ci sono pure dei macroscopici crolli di scrittura, e un finale che se lo lasci così a un concorso per giovani autori ti scartano alla prima selezione. Ma se il teatro deve rappresentare la vita, allora per una sera può andar bene anche così.

Perché fa tenerezza, tenerezza di figlio e insieme di giovane adulto che deve fare i conti con una grande prova della vita questo Paravidino al capezzale della madre. È commovente il suo modo di cercare lo sguardo di Monica Samassa, che interpreta Maria Pia, come fosse la vera Maria Pia. Qui le doti attoriali non c’entrano. Qui c’entrano dolore e commozione, emozioni e fatiche. Alcuni tratti dei personaggi che Paravidino e Iris Fusetti interpretano (la sorella, lo zio, la dottoressa) sono davvero universali: in ogni famiglia che ha attraversato momenti come quello ce ne sarà stato uno.
E poi Fausto e Iris, che sono una coppia anche fuori dal palco, sembrano lì a masticare quei ricordi e quelle sensazioni come fosse la prima volta, con quel continuo chiedersi: “Come va?”, che sarebbe meglio avesse il silenzio come risposta invece che un pallido “Bene ma…”. Solo che adesso, mentre recitano, entrambi sanno come andrà a finire. E forse, dietro quel sorriso che ti buttano in faccia e che alcuni, tra il pubblico, avranno certamente vissuto con fastidio, quasi come inutile provocazione, c’è ancora tutta l’umana e inestirpabile paura di non sapere cosa accadrà domani. Quando tutto questo sarà finito.

Ps: venti minuti in meno avrebbero giovato allo spettacolo e agli spettatori. E perché il video proiettato alle spalle degli attori?

Francesca Gambarini