di e con Damiano Grasselli
visto al Teatro Crt di Milano _ 16-18 Novembre 2012

“I’m ant you”, spettacolo ideato dalla compagnia Teatro Caverna, si ispira a un’immagine: il celebre manifesto del 1917 in cui lo Zio Sam, simbolo del nazionalismo statunitense, con sguardo severo e indice puntato intimava ai giovani americani “I want you”.

La performance, pensata per un solo spettatore, si svolge in una stanza piccola e buia del Crt Salone. Una lugubre voce di sottofondo accompagna Damiano Grasselli, l’unico attore in scena – nonché l’autore dell’opera –, che, vestendo i panni di un moderno e inquietante Zio Sam, entra in contatto con il proprio interlocutore soltanto attraverso gesti e movimenti ispirati al mimo.

In questo serrato faccia a faccia, lo spettatore deve affrontare l’incubo di un assassinio in cui carnefice e vittima si confondono: in un gioco di specchi, sguardi e cambi di prospettiva, l’io e il tu si moltiplicano e sfumano l’uno nell’altro, sino alla condanna finale. È infatti l’indagine sulla molteplicità dell’io lo scopo e l’idea di fondo dello spettacolo; anche il titolo – un sintagma senza senso, storpiatura del famoso slogan – esprime l’impossibilità di assumere una prospettiva univoca e di pronunciarsi su ciò che si è.

Non è certo una novità, sulla scena contemporanea, la ricerca di un rapporto a tu per tu con lo spettatore; dai celebri esperimenti del Teatro del Lemming fino ad Animanera – per citare solo i casi più noti –, sempre più spesso il teatro punta a un interattività che pare naturale, se non inevitabile, nell’era 2.0.

Ecco perché in uno spettatore avvertito lo stupore lascia subito il posto alla percezione di alcune ingenuità. Innanzitutto, l’atmosfera lynchiana, affascinante al primo impatto, pare enfatizzata in maniera eccessiva, con il rischio di trasformare l’inquietudine iniziale in distacco. Lascia perplessi, inoltre, la scelta di una voce narrante così cupa e cavernosa da risultare caricaturale; il tono monocorde, teso a colpire in maniera provocatoria lo spettatore, finisce per ottenere l’effetto contrario.

Non mancano spunti interessanti, come i movimenti con cui l’attore sfrutta le possibilità offerte dai cambi di prospettiva; anche l’impiego dello specchio crea cortocircuiti forti e inaspettati: a un tratto, lo spettatore si vede riflesso con una pistola puntata alla testa.

Ma l’inquietudine provocata ad arte e il coinvolgimento ottenuto grazie alla forma non dovrebbero essere che un punto di partenza; varrebbe la pena di articolare il progetto in modo più completo, perché l’indagine dell’io superi il binomio colpevole-non colpevole.

Camilla Lietti