di Thomas Stearn Eliot
regia di Annig Raimondi
visto al Teatro Oscar di Milano_ 3 maggio-2 giugno 2013

Al Teatro Oscar gli spettatori di Cocktail Party si contano sulle dita di due mani e tra le poltrone circolano mormorii e perplessità. Lo spettacolo, sfortunatamente trascurato dal pubblico, si inserisce nel Progetto Cocktail Eliot: tre spettacoli (Cocktail Party, La terra desolata  e CATS e altri gatti pratici…) dedicati al grande poeta anglo-americano Eliot, la cui complessa produzione spazia dalla poesia al teatro, dalla critica letteraria a quella sociale.

La commedia, divisa in tre atti, racconta i fervidi preparativi per un cocktail party che ha come palcoscenico l’appartamento dei coniugi Chamberlayne nella Londra altoborghese del ‘900. Il paradosso è che il party non può iniziare dal momento che Lavinia, la padrona di casa, è sparita lasciando al marito, del tutto impreparato, il difficile compito di ricevere gli invitati e servirli a dovere. Gli stravaganti ospiti, in trepidante attesa di notizie e del ritorno di Lavinia, si intrattengono con il marito Edward: tra un bicchiere di gin e qualche improbabile snack improvvisato, raccontano il profondo malessere delle loro relazioni, di fronte all’occhio clinico di un ospite sconosciuto, che si rivelerà essere uno psicoterapeuta.
A comporre la scena sono dei semplici cubi e pannelli, il cui spostamento da parte degli attori segnala con chiarezza il cambio degli ambienti: dalla casa dei Chamberlayne allo studio dello psichiatra e di nuovo alla casa, ma due anni dopo.

Non è impresa semplice portare in scena il testo di Eliot: il tono leggero, tra l’umoristico e il satirico, cela riflessioni filosofiche dense e allusive sulle relazioni umane e di coppia. Gli attori affrontano la sfida con grazia, snocciolando vacuità e frivolezze con brillante espressività, ricamando con tono iperbolico su particolari più o meno piccanti e facendo così emergere tutte le ipocrisie e le convenzioni di questo rendez-vous di buona società. Il gioco funziona soprattutto nelle scene corali, dove il continuo chiacchiericcio coinvolge lo spettore fino a farlo sentire parte integrante del Cocktail Party, mentre le scene a due paiono perdere ritmo e incisività.
Anche i costumi, dal sapore volutamente stucchevole e retrò, contribuiscono a restituire l’atmosfera artificiosa e sospesa dell’evento mondano, mentre piccoli e studiati dettagli caratterizzano quelli che si possono definire “i custodi” della commedia eliotiana: la benda nera che copre l’occhio dello psichiatra (Massimo Loreto) e la lente mancante degli occhiali della straordinaria amica impicciona (Antonio Rosti) evocano le inadeguatezze di una realtà che vuole rappresentarsi impeccabile e priva di imperfezioni.

Annig Raimondi, cimentandosi con un testo poco conosciuto e rappresentato come Cocktail Party, riporta in luce non solo una brillante commedia di salotto, ma anche un’attualissima riflessione psicanalitico-filosofica sull’isolamento proprio della condizione umana. L’impegnativa commedia eliotiana richiede certo uno sforzo di concentrazione, ma i pochi fortunati spettatori in sala non possono che rimpiangere di non aver condiviso la visione dello spettacolo con un pubblico più nutrito. Un peccato davvero.

Alessandra Cioccarelli