Accorciare le distanze, tra pubblico e territorio
di Valentina Sorte

Dopo dieci anni di attività, Il Giardino delle Esperidi Festival si è affermato nel territorio lombardo come una vera e propria fucina di produzione artistica. Nell’ambito dell’edizione appena conclusa (21-30 giugno), il cartellone presentava 15 appuntamenti: 6 spettacoli in prima assoluta, 2 in anteprima, 2 prime nazionali, e ancora reading e incontri. Ma al di là di questa ricca programmazione, Il Giardino delle Esperidi ha saputo rinnovare il rapporto con il territorio, trasformando una semplice – seppur suggestiva – cornice “in un atto di resistenza politica e culturale”, nelle parole del direttore Michele Losi. Uno degli obiettivi del festival è stato quello di creare “relazione”: il territorio non è stato concepito come contenitore dell’evento ma come vero e proprio punto focale. Non è un caso che l’edizione 2014 abbia preso avvio da uno spettacolo site specific, Sogno di una notte di mezza estate: le tre realtà più attive sul territorio (ScarlattineTeatro, Teatro Invito e Piccoli Idilli) si sono unite per dare vita a una performance che ha eletto la natura come proprio spazio scenico.
I borghi, le ville e i boschi del Monte di Brianza – estesi fra i cinque comuni di Olgiate Molgora, Colle Brianza, Ello, Galbiate e Olginate – hanno così ospitato 12 compagnie, artisti nazionali ed internazionali e un pubblico eterogeneo di autoctoni, curiosi e addetti ai lavori, creando una comunità sui generis.

Il Festival, curato da Campsirago Residenza/ScarlattineTeatro, intende poi coltivare una particolare partecipazione emotiva dello spettatore, incoraggiando un approccio sensoriale e personale. Nel secondo fine settimana del festival è stato presentato Hamlet Private di Scarlattine, significativo esempio di questa prospettiva di ricerca. Lo spettacolo, già applaudito a Luoghi Comuni 2014, ha saputo tradurre alla perfezione l’esigenza di una nuova relazione fra pubblico e performer. Come suggerisce il titolo, assistere ad Hamlet Private significa vivere un’esperienza confidenziale ed esclusiva. Non solo perché destinata a un solo spettatore, ma anche per la segretezza e l’intimità riservate al luogo della performance. Con l’aiuto del sistema divinatorio di carte Talmeh (anagramma dell’eroe shakespeariano) il destino di Amleto si intreccia a quello dello spettatore. I dubbi e le incertezze del primo fanno da specchio  a quelli del secondo, forse meno tragici ma altrettanto essenziali. Le carte interpretate dal performer – Giulietta Debernardi e Marco Mazza – diventano strumento di (ri)lettura e restituzione da un lato della storia e del personaggio di Amleto, dall’altra del sentire e del vissuto dello spettatore seduto di fronte a lui. ScarlattineTeatro restituisce così un Amleto privato e ancora attuale. Contemporaneo ma mai domestico.

Il festival ha accordato una particolare attenzione anche al teatro di figura. Presentato in anteprima a NEXT 2013 e a Bisóntere Festival Internacional de Títeres 2014 (Spagna), Cupido es una broma è approdato al Giardino delle Esperidi per il debutto italiano. Lo spettacolo è nato dalla sinergia di tre realtà artistiche internazionali: David Zuazola Puppets Company, Marek Zurawski e ScarlattineTeatro. Il pluripremiato puppet designer David Zuazola ha lavorato sul recupero dei materiali di scarto, trasformando plastica, legno e stoffe in bellissime marionette, manovrate con una inedita tecnica di movimento – chiamata Creator Core. Accanto a lui, Marek Zurawski – della storica compagnia Unia Teatr Niemozliwy di teatro di animazione di Varsavia – ha firmato le musiche dal vivo mentre ScarlattineTeatro, in scena e alla regia, ha tutelato l’equilibrio di questo linguaggio contaminato, dando vita a un’affascinante grammatica di gesti e sonorità. Grazie alla suggestione delle immagini create (materiali poco nobili si sono trasformati in scenografie fantasiose) e all’universalità della storia narrata (le pene d’amor perduto), Cupido es una broma è riuscito a toccare l’immaginario degli spettatori.

Accorciare le distanze e inventare nuove prossemiche si configura dunque come l’obiettivo primario della direzione artistica, tanto nell’ideazione del festival quanto nell’elaborazione delle singole creazioni. Hamlet Private ridisegna lo spazio emotivo dello spettatore e quello performativo dell’attore, sovrapponendoli. Cupido es una broma ripensa una geografia ideale – internazionale e locale – nella quale parlare di periferia non ha più senso, perché il vero centro è occupato dal pubblico.

Antiwords e Pollicino 2.0. Cercasi pubblico interattivo
di Alessandra Cioccarelli

‘Partecipazione’ e ‘pubblico’ sono diventate parole chiave per progetti teatrali, bandi di finanziamento, festival.
C’è chi però ha trasformato questa esigenza in una scelta radicale, con tutti i rischi che comporta. Un’urgenza in questo senso è emersa con particolare forza in due appuntamenti della penultima giornata del Festival delle Esperidi: Antiwords e Pollicino 2.0. Due spettacoli – il primo una produzione Spitfire Company, il secondo un progetto di Collettivo PirateJenny – di natura radicalmente diversa ma accomunati dall’irriducibile ricerca di uno spettatore presente e collaborativo. Medesimo l’obiettivo, costruire un’esperienza teatrale soddisfacente con l’aiuto del pubblico, diversi gli strumenti e i linguaggi per perseguire un fine di massima attualità. Ma vediamo brevemente i due diversi profili.

La Spitfire Company, ospite internazionale del festival, è un ensemble all’avanguardia della Repubblica Ceca, conosciuto per la peculiare integrazione tra danza, musica, physical e visual theatre. Tratti distintivi sono l’assoluta enfasi della recitazione fisica, la contaminazione tra generi differenti e la sperimentazione di nuove possibilità visive.
Collettivo PirateJenny – il nome deriva dalla canzone dell’Opera Da Tre Soldi di Brecht (leggi l’intervista di Stratagemmi) – nasce nel 2011 dall’unione dei tre giovani performer e creativi Sara Catellani, Elisa Ferrari e Davide Manico, a cui si aggiunge in un secondo momento Marco Masello nel ruolo di organizzatore. La riconquista di un rapporto di fiducia da parte del pubblico, il recupero della dimensione artigianale nel mestiere del creativo, l’accumulo bulimico dei frammenti più disparati della realtà: queste le linee guida di un gruppo che lavora al confine tra danza, testo e immagine.

Antiwords, presentato al Festival di Campsirago in prima nazionale, è una sfida ironica e spettacolare: le interpreti Miřenka Čechová e Jindřiška Křivánková bevono birra fino a ubriacarsi e gli astanti divengono i testimoni privilegiati – ora appassionati, ora tifosi, ora increduli – di un’impresa apparentemente goliardica, in realtà dai risvolti piuttosto grotteschi. A caratterizzare Antiwords è un linguaggio volutamente ambiguo e reversibile, un’oscillazione continua tra compartecipazione e distacco critico che regola la fruizione. Lo spettatore viene prima adulato, incuriosito, divertito; poi – complici anche le surreali teste realizzate dalla scultrice Paulina e indossate dalle attrici – si fa strada un crescente disorientamento. La performance affronta infatti il tema dell’alienazione e della solitudine nelle sue più paradossali sfaccettature, ispirandosi alle opere di Václav Havel e in particolare a L’udienza: nel celebre adattamento cinematografico il ruolo del birraio veniva interpretato da Landovský, ricordato per essere riuscito a rimanere nel personaggio anche dopo nove pinte di birra. Il referente non è così noto al pubblico italiano, e in alcuni casi vengono a mancare le coordinate per una comprensione esaustiva; ma il pubblico sta al gioco e lo spettacolo funziona.

Una sorta di truce reality show è invece la curiosa proposta di Collettivo PirateJenny: in Pollicino 2.0 – una provocatoria rivisitazione dell’arcinota fiaba presentata in prima assoluta – i tre protagonisti hanno 7 giorni di tempo per uscire sani e salvi dal bosco. Chiare e inflessibili le regole del gioco imposte ai 3 performer-concorrenti: non cambiare il senso di marcia; risolvere le prove di sopravvivenza; orientarsi tramite i tutorial; restare uniti; non sognare. Improbabili tutorial e RWM, sigle televisive, applicazioni, bonus di ricompensa e penalizzazioni… sono numerosi, forse anche troppi, gli elementi che strizzano l’occhio al pubblico, soprattutto quello attivo nella community del web. Alcune delle affascinanti premesse finiscono per restare irrisolte, e i promettenti elementi messi in campo non hanno modo, in molti casi, di trovare adeguato sviluppo drammaturgico.
Il lodevole sforzo di cercare un linguaggio non paludato per parlare della crisi – quella degli eterni pollicini che brancolano nel buio della precarietà – rischia di restare superficiale; varrebbe la pena, per i prossimi sviluppi del lavoro, cercare una strada di maggiore approfondimento, avendo il coraggio di percorrere i lati più ocuri e meno ammiccanti del rocambolesco reality game. Magari, perché no, insieme alla collaborazione del pubblico. Che si è dimostrato il vero e proprio protagonista di questa coraggiosa edizione del Giardino delle Esperidi.