“Record di presenze e di incassi”: così il comunicato ufficiale del ministero (30 giugno 2016) sul sito della fondazione INDA sintetizza – e chiude – la stagione siracusana di spettacoli classici. Quasi 120 mila spettatori (record assoluto in 102 anni di spettacoli), con una crescita rispetto allo scorso anno di presenze medie per replica (11%), totali (3,6 %) e di incassi (7%). Particolare degno di nota, tra gli spettatori si registrano oltre 37 mila studenti, cui vanno aggiunti gli allievi dell’Accademia d’arte del Dramma antico che hanno partecipato agli spettacoli stessi, e i 1800 studenti /attori delle 62 scuole coinvolte nell’annuale Festival dei Giovani a Palazzolo Acreide. A dimostrazione che i laboratori teatrali prosperano in tutta Italia, in ogni tipo di scuola, grazie a presidi, insegnanti, operatori e critici che giustamente si adoperano per avvicinare gli studenti al teatro, classico e moderno (per una panoramica del settore si veda la sezione di Dionysus ex Machina dedicata a scuole e università, e in particolare le riflessioni di Onelia Bardelli, n.6 /2015).

I dati sul pubblico, e in particolare sugli studenti, mi permettono di rimandare ad alcuni temi che stanno molto a cuore a Stratagemmi: il teatro ‘impegnato’ (engaged theatre), la formazione e i coinvolgimento del pubblico (audience development) e specialmente dei giovani (grazie a festival e progetti speciali come Acrobazie Critiche, la non scuola di Ravenna e altri laboratori teatrali). Si vedano rispettivamente per i primi aspetti Francesca Serrazanetti “Il teatro di Siracusa e la (ri)scrittura dello spazio scenico” (20 giugno 2016) e Maddalena Giovannelli, “Siracusa: una Fedra Spregiudicata” (30 Giugno 2016), per i secondi aspetti Maddalena Giovannelli “Parola d’ordine: pubblico” (11 luglio 2016) e Camilla Lietti, “Al premio Lo Straniero tra scuola e teatro” (12 luglio 2016). A questi articoli rimando, come termini di confronto, sia per le loro premesse e riflessioni (che condivido pienamente) sia perché insieme dipingono un quadro composito, ma coerente: un tassello importante di quel mosaico, visione complessiva o ‘big picture’ che dir si voglia, dove si colloca e acquista un nuovo senso anche il caso di studio che seguo da quasi trent’anni – Siracusa – per molti aspetti unico, per altri esemplare. Vale la pena di riconsiderare la stagione appena conclusa, con i dati sopra citati, per tirare almeno provvisoriamente le fila del discorso.

Al pari dell’antica Atene questa ‘polis’ vive la stagione degli spettacoli, breve ma intensa, partecipando con passione alla preparazione e alla fruizione di un vero rito collettivo (che si consuma ogni sera in teatro) e di un altro rito che si compie ben prima della ‘prima’, e appassiona molti cittadini di nascita o di elezione come la sottoscritta: la scelta dei registi, dei titoli, degli attori e degli altri partecipanti agli spettacoli. In questa prospettiva si inquadrano, e si saldano insieme, due aspetti per me cruciali: il primo anello della filiera (produzione, organizzazione, e tutto ciò che sta ‘ a monte’ degli spettacoli) e l’ultimo, cioè la fruizione da parte del pubblico. Per quanto riguarda il primo va sottolineato che la stagione 2016, come la scorsa, ha presentato una trilogia sui generis con due tragedie greche e una latina: in passato ad autori latini come Seneca, Plauto o Terenzio erano riservati di preferenza i teatri romani, di Sicilia e del continente; ma nel 2015 la Medea di Seneca ha debuttato sulla scena siracusana e in altre sedi (la più prestigiosa il Colosseo romano, in una replica straordinaria trasmessa anche in TV). Il successo ha portato a replicare quest’anno la scelta di Seneca, con la Fedra, che andrà anch’essa in tournée a differenza delle tragedie greche (il 31 luglio a Segesta, 3-4 settembre a Taormina e infine a Ostia Antica).

Chi ne paga le spese è la commedia, già relegata al ruolo di “Cenerentola” per quasi un secolo, e in particolare l’antenato di ogni ‘picconatore’, l’ateniese Aristofane. Dopo un lungo esilio da Siracusa, tra il 1988 e il 1994 era riapparso e poi riproposto con una certa regolarità, e perfino con cadenza annuale fino al 2014, ma in seguito estromesso con grande rammarico mio e altrui, visto che gli spettacoli comici degli ultimi cicli erano spesso migliori dei tragici: si vedano M. Treu “E tutto ad un tratto: il coro”, (Stratagemmi, 20 maggio 2014), le recensioni di Giuseppe Liotta su Dionysus ex Machina, sezione Notizie (in particolare l’articolo “Fuori dal coro”, 12 luglio 2012) e sulla stagione 2016 di Caterina Barone (21 maggio 2016). o di Maddalena Giovannelli, “Teatro greco di Siracusa: quale attore tragico nel nuovo millennio?”, Doppiozero, 2 giugno 2016.

Quest’ultimo specialmente offre spunti interessanti sulle specifiche caratteristiche del teatro di Siracusa, del suo spazio e del suo pubblico, e di cosa queste comportino per chi dirige, o recita, uno spettacolo qui. Gli stessi attori e i due corifei di Alcesti, che si sono generosamente concessi a un incontro pubblico di approfondimento organizzato nella sede della Fondazione INDA con la rivista Stratagemmi (23 maggio 2016), hanno descritto con grande efficacia e dovizia il senso di responsabilità, di onore, ma anche di smarrimento, provato nel recitare qui (specialmente se è la prima volta). Nel caso di Alcesti, il regista Cesare Lievi ha ideato e diretto con sapienza il disegno complessivo dello spettacolo, e in particolare i movimenti corali e scenici. A cominciare dall’entrata a effetto (parodo) di un corteo funebre in grande stile che fa capolino dietro la scena, taglia longitudinalmente l’orchestra, esce dalla parte opposta. Una trovata di forte impatto che inaugura lo spettacolo marcando la memoria degli spettatori a livello sonoro e visivo, come una chiave musicale a inizio partitura, valorizzando le qualità del coro e dello spazio scenico (si veda articolo sopra citato di Serrazanetti).

Nel complesso, però, personalmente ho riscontrato – come già in anni passati – una forte disomogeneità nell’accostamento dei drammi della trilogia, nella scelta dei registi, ma anche nella composizione stessa del cast che raccoglie interpreti diversi per provenienza, per formazione, per stile interpretativo. La migliore delle tre da questo punto di vista è senz’altro l’Alcesti di Lievi, che ha saputo compensare l’eterogeneità di partenza con uno stile registico personale, organico e chiaro, lineare e rigoroso, tradotto in immagini efficaci: così un dramma non facile da rappresentare (per natura composito e ibrido) ha trovato concreta realizzazione scenica grazie a una felice combinazione di spunti e suggestioni provenienti da fonti diverse (cultura classica e religione cristiana, Eracle e Cristo, tragico e comico). Ma nel caso di Lievi questo risultato non è certo il prodotto di pochi mesi di prove a Siracusa: è frutto di un lungo e appassionato percorso di studio, ricerca e sperimentazione, iniziato molti anni fa e ancora in corso (come lui stesso ci ha raccontato, in uno degli incontri dedicati da Stratagemmi ad Alcesti, nei mesi scorsi, all’Università Statale di Milano). L’Alcesti euripidea nel panorama dei drammi superstiti è unico per molti aspetti, a cominciare dalla sua posizione come quarto dramma a fine trilogia. Oggi possiamo solo immaginare come fosse legato ai precedenti tre, di cui poco o nulla sappiamo. Eppure, a Siracusa, un filo conduttore si poteva forse trovare nell’affiancare drammi affini, o nel condividere la scenografia o qualcuno degli interpreti, se non il regista, come già accaduto in molte stagioni passate.

Quest’anno a mio parere nulla, né un elemento scenografico, un attore, un’idea, sembra accomunare l’Alcesti di Lievi e l’Elettra sofoclea di Gabriele Lavia, che annovera anche interpreti di valore, ma non mostra un disegno coerente nella direzione di attori e coro, nell’uso delle musiche e della scenografia, nella visione d’insieme dei movimenti scenici: se ne ricava un’impressione caotica di isole o monadi, affioranti nell’orchestra, con sporadici momenti intensi, ma slegati tra loro, con idee a tratti interessanti, senza un filo conduttore, con contrasti stridenti e dissonanti che appaiono però fuori controllo, piuttosto che voluti e motivati. È tale il contrasto tra il primo e il secondo spettacolo che non ci sembra neppure che si svolgano nello stesso teatro, per quanto si rappresentino a sere alterne.

Per il 2017, almeno sulla carta, l’INDA ha programmato una trilogia più coerente. La prossima stagione sarà dedicata alla ‘polis’, per celebrare il 2750° anniversario della Fondazione di Siracusa. Può parere poco beneaugurante, per l’anniversario, l’argomento dei due drammi greci scelti: Sette a Tebe e Fenicie si incentrano entrambi sulla guerra fratricida dei figli di Edipo, che muoiono combattendo per la loro città. Ma il fatto che lo stesso argomento sia trattato rispettivamente da Eschilo e Euripide prepara il terreno alla terza opera in programma: le Rane di Aristofane. Di nuovo una commedia, finalmente. L’INDA celebra la polis con uno dei suoi paladini, che ad Atene ha consacrato la vita e l’opera. ‘Il ritorno di Aristofane’ si preannuncia in grande stile: la sua commedia metateatrale più ambiziosa ritrae proprio i due tragediografi sopra citati, in una gara arbitrata da Dioniso, a colpi di versi, per la palma di miglior poeta. Con queste premesse, anche a Siracusa, lo spettatore più attento e assiduo potrà seguire le orme dionisiache, giudicare sulla scena le tragedie, e magari esprimere un verdetto personale prima di assistere al confronto finale (in modo simile, pochi anni fa, l’Ensemble Teatro Due di Parma chiedeva al pubblico in sala di votare il tragico preferito sulla base dei versi che aveva appena sentito: cfr. M. Treu, Le Rane, 20 marzo 2013).

Se questi sono i presupposti, una condicio sine qua non perché la trilogia funzioni, a maggior ragione, è che il calendario non ricalchi quello del 2016, assai anomalo e a mio parere penalizzante per i critici e per una larga fascia di pubblico. Quest’anno infatti, inspiegabilmente, la solita rotazione dei drammi, a cadenza giornaliera, ha riguardato solo Elettra e Alcesti; la Fedra senecana è stata rappresentata invece in coda alle prime due, per poco tempo e perdipiù a distanza di diversi giorni dall’ultima replica di Alcesti. Lo iato ha impedito ai più di vederle tutte e tre, a meno di non tornare due volte a Siracusa, o di fermarsi vari giorni per unire le ultime due repliche dei drammi greci e la prima di Fedra: nell’uno e nell’altro caso la scelta potrebbe mirare a rafforzare i flussi turistici, ma è sostenibile solo per chi se la può permettere economicamente e dunque taglia fuori una fetta consistente di pubblico.

Soffermiamoci su quest’ultimo aspetto, il costo degli spettacoli: i dati forniti dal Ministero (nel comunicato sopra citato) segnano un incremento sensibile di incassi e di spettatori. Quanto al primo dato, va specificato che i prezzi dei biglietti sono saliti di molto negli ultimi anni, per scelte politiche e di ‘mercato’ in netta controtendenza rispetto alla storia: prima di tutto a quella di Atene, che ha inventato il teatro, lo ha fatto gravare sul bilancio pubblico e sui cittadini ricchi (obbligati alla coregia, ossia a fare da sponsor, come forma di tassa), non ha previsto un biglietto ma al contrario un sussidio detto theorikòn (un sostegno economico per garantire l’ingresso a teatro anche ai meno abbienti). In secondo luogo, anche la storia stessa dell’INDA dovrebbe ricordare allo Stato l’obbligo morale di incentivare e promuovere il teatro (e non solo a Siracusa), come strumento indispensabile di civiltà e di cultura. Al contrario la logica di mercato alza il prezzo dei biglietti a una cifra considerevole e di fatto favorisce una selezione del pubblico verso l’alto: non certo in direzione di un intrattenimento ‘popolare’ o ‘di massa’, ma al contrario sempre più ristretto ed elitario. In questo panorama spiccano come vistosa eccezione le tradizionali giornate a posto unico (6 repliche su 42): una storica iniziativa dell’INDA che idealmente livella tutti i generi di posti a un solo costo (26 Euro, 24 per le scuole), mentre di norma i primi settori costano in media il doppio rispetto ai non numerati (rispettivamente 65 e 32 euro, 24 per le scuole). Il tutto esaurito di queste giornate dimostra che questa è la direzione giusta, ma si potrebbe fare molto di più: una volta stabilito un budget adeguato, e fatti gli opportuni controlli, si dovrebbero offrire riduzioni e gratuità non solo alle scuole, ma ad altre categorie come studenti universitari, lavoratori dipendenti, gruppi e associazioni culturali che coinvolgano giovani, anziani, adulti, contribuendo a formare negli anni un pubblico più ampio e consapevole.

Martina Treu