Ideazione e drammaturgia di Maurizio Pisati
Regia di Annig Raimondi
Visto al Teatro Oscar di Milano_ 21-31 marzo 2012

Quanto contano le nostre aspettative prima di uno spettacolo teatrale?
Frequentando da anni i teatri, antichi e moderni, possiamo credere di aver raggiunto un livello sufficiente di consapevolezza e di esperienza che ci tranquillizza, ma proviamo anche a mantenere una disponibilità ‘in entrata’ aperta a qualsiasi proposta. E quindi, pronti a rischiare, ci sediamo fiduciosi e smaliziati di fronte a qualsiasi sipario chiuso. E invece…
Inconsciamente, andando a vedere Aristofane in blue (incuriositi dalle promettenti note di regia e dal sottotitolo dieci domande a nuvole, poeti e uccelli) pensavamo che ci saremmo divertiti o perfino avremmo canticchiato. Ci aspettavamo forse di vedere una Lisistrata alla Garinei e Giovannini (ricordando il musical del ’58 con Delia Scala, Nino Manfredi e il Quartetto Cetra – e la canzone “Donna, tutto si fa per te” – o la riedizione del 1971 con Milva e Gino Bramieri). Oppure ci immaginavamo di vedere una versione “alla Evita” delle Donne al Parlamento o il Socrate delle Nuvole che rifà il verso a Jesus Christ Superstar.

A spettacolo finito niente di tutto questo, a partire dal divertimento.
Prima di tutto la scena. Sagome di cartone a forma di vaso, armi antiche e recenti appoggiate al muro, una statua classica di nudo femminile, una colonna di polistirolo sul proscenio, uno schermo sul quale vengono proiettati macro-dettagli di violini e altro. Quattro persone in scena: sullo sfondo in ombra, con la chitarra illuminata Maurizio Pisati (alias Aristofane? Così sembrerebbe, dalle note di scena); in piedi con un leggio in primo piano, tra scena e pubblico, il compositore e cantante Bernardo Lanzetti (“leading voice e uccelli”, stando alla locandina); dietro di lui Riccardo Magherini (“voce antica e del parlamento”) si trascina su una strana sedia a rotelle (rivestita di stoffa e ‘mimetizzata’ con la scenografia); sulla sinistra, seminascosta dal nudo di donna e con una grossa parrucca rossa, Annig Raimondi (“voce delle donne e della pace” nonché regista). Gli attori si muovono a scatti, come figurine di un carillon inceppato.

Il tutto sembra una di quelle surreali vignette che illustrano i rebus: nette sproporzioni nelle dimensioni e nei rapporti tra gli oggetti, progressioni e accostamenti senza logica, figure stilizzate perché significanti e non significati. Solo che qui mancano le grosse lettere che danno la chiave del rebus. E quindi è difficile trovare la soluzione, capire il senso ultimo dello spettacolo.
Come spiega Pisati a inizio spettacolo, non si tratta di un collage di opere di Aristofane, né di una riscrittura: l’operazione, di per sé interessante, consiste nell’attingere liberamente suggestioni musicali da alcune commedie (soprattutto Nuvole, Uccelli, Pace) che vengono frantumate, sminuzzate e centrifugate fino a renderle del tutto irriconoscibili. A fatica si riconoscono i pezzi, anche per chi sa Aristofane a memoria, e prova a trovare un filo logico nel puzzle sonoro e visivo.
I tre personaggi sembrano simulacri del mondo del poeta: la donna potrebbe rappresentare tutte le donne delle commedie, l’uomo seduto tutti gli uomini, buoni e cattivi. Il cantante al leggio è la voce dei cori, che fa le domande, proclama sentenze, volta le pagine.

Ma a parte questa lettura iconologica della scena e dei ruoli, il testo combina sinossi e tormentoni, dialoghi fitti e nonsense, vocalizzi e silenzi: e malgrado le lodevoli intenzioni e l’apprezzabile sforzo degli interpreti resta oscuro, non narrativo, poco coinvolgente. Soprattutto serio, cupo, tetro in modo inquietante. Anche perché è introdotto e interrotto – più che accompagnato – da suoni intermittenti e scomposti che non diventano mai melodia, non si aprono, non hanno respiro: anzi danno claustrofobia, creano un’atmosfera da grotta gocciolante, densa di mistero, mai illuminata da sprazzi di luce.
La regia, la recitazione, il sonoro, i video, il testo, l’età anagrafica degli attori, in una parola lo stile di tutto lo spettacolo rimandano a un teatro sperimentale molto datato che con il passare degli anni si è un po’ cristallizzato (come è successo con certa video-arte) in una serie di stilemi che qui riconosciamo e ritroviamo tutti.

Certo è encomiabile l’intento, nonché interessante l’operazione culturale che ha il merito di far rivivere l’antico fuori dai confini scolastici e accademici. Ed è un modo sorprendente – nella sua atipicità e originalità – di confermare una volta di più come Aristofane, duemilacinquecento anni dopo, possa ancora stimolare la creatività di artisti di ogni genere e produrre simili espressioni, contaminazioni ed esperimenti.
Ed è una bella coincidenza che il 31 marzo, giorno di chiusura dello spettacolo, il testo greco con traduzione italiana delle Nuvole di Aristofane sia venduto a un euro come allegato al Corriere della Sera. Un incredibile e sempre vivo “effetto-butterfly” temporale.
E questo davvero non ce lo aspettavamo.

Martina Treu