Con tus ojos
SUSANNA BELTRAMI

Il ticchettio di un orologio pervade ogni pensiero. Il senso d’attesa è palpabile, la trepidazione si manifesta ancor più nel nervoso andirivieni di una donna sul palco. È sola, ma non è l’unica. Dietro di lei altre quattro ballerine, più giovani, vestite in maniera identica: sono le sue sosia, i fantasmi della coscienza, che si muovono assecondando il fluire dei suoi pensieri. Lei è un’amante abbandonata, una Didone che commisera la propria sorte in un delirante monologo. Poi cammina per il palco, riflette, tiene il conto in francese dei propri passi.  Il ritmo è dinamico, nettamente scandito. Le altre danzatrici seguono la donna assecondandone ed enfatizzandone con ampie volute le movenze, mimano tramite l’espressività e i gesti le voci che rapidamente si affastellano nella sua follia d’amore. La presenza più viva è quella di Picasso, fil rouge in absentia, uomo scostante, imprevedibile e volubile. Del resto, “è un artista”. Così, vaneggiando all’apice del climax drammatico, la protagonista afferma al microfono; fa appello a Pablo e declama l’opera di Platone, in un’ultima vibrante apologia della lontananza dell’amato. Come viene duramente sancito nella Repubblica, il poeta, l’uomo d’arte, deve essere allontanato dallo Stato, infatti non può che essere proprio in ragione del suo statuto pericoloso ed eversivo: non è altro che un “sociopatico”. Con queste parole si chiude la coreografia e il buio cala sulla donna che non riesce più a vedersi se non negli occhi di chi ama.

Ludovica D’alessandro

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