Stratagemmi 35 – [1] 2017 – TEATRO E MIMESIS

Con questo numero trentacinque “Stratagemmi” festeggia dieci anni. In questo tempo abbiamo scritto, ragionato, osservato, cercando di restituire la scena con la molteplicità di prospettive e di metodi che ci ha caratterizzato fin dalla fondazione. Oggi, inevitabilmente, rivolgiamo lo sguardo al teatro che abbiamo visto trasformarsi sotto i nostri occhi.

E anche noi ci siamo trasformati: da una rivista di studi (che inaugura per l’occasione una nuova veste grafica) è nato un portale web e infine un’associazione culturale che lavora con gli spettatori di oggi e quello di domani, per la formazione di un nuovo pubblico. Restiamo però fedeli a quello che nel 2007 abbiamo scelto come sottotitolo, Prospettive Teatrali: cerchiamo ancora di guardare al teatro da diverse angolazioni, alternando approfondimento e pratica, studi accademici e riflessioni critiche. L’oggetto di indagine lo definiremo numero dopo numero: perché da oggi “Stratagemmi” diventa monografico, pur mantenendo la tradizionale divisione tra Studi e Taccuino. I contributi della prima e della seconda parte guardano allo stesso tema da punti di vista e con approcci diversi: se gli Studi allargano lo sguardo su approfondimenti di carattere teorico intorno alla scena teatrale e alle discipline ad essa connesse, il Taccuino presenta riflessioni a partire dalle pratiche artistiche.

In questo numero lo sguardo è interamente rivolto al tema della mimesi, o meglio su come si è trasformata l’idea della rappresentazione della realtà in questi primi anni del nuovo millennio. Un tema, riteniamo, particolarmente significativo, e che, in qualche misura ci rappresenta: se da un lato è legato a doppio filo con l’origine e le fondamenta del teatro, dall’altro si declina, con sempre nuovi e diversi stratagemmi, secondo le mutate esigenze di comunicazione ed espressione. Cosa lega i contributi – ancora fondamentali – di Platone e Aristotele alla mimesi della realtà virtuale, già approdata sul palco? E cosa ne è del “qui e ora” della rappresentazione se oggi può andare in scena una realtà riproducibile oppure aumentata, che si lega tanto alla performance dell’attore quanto alle possibilità di un device sempre più potente e veloce come una microcamera o uno smartphone? Siamo di fronte alla rivoluzione 4.0 del teatro? E se sì, come cambieranno allora i parametri estetici della rappresentazione?

Scorrendo il sommario di questo numero monografico troverete dunque interventi multiformi e policentrici. Si parte da una riflessione sulla mimesi teatrale nell’antichità, che da Luciano di Samosata ci conduce fino ad Antonio Latella ed Emma Dante attraverso le categorie di mimesi del gesto, del discorso, dell’io. Davide Carnevali mette in discussione il concetto stesso di realismo, inteso come omologia strutturale tra una certa visione del mondo e la sua forma di rappresentazione: non bisogna guardare al teatro drammatico come a una copia fedele del mondo, ma piuttosto come a una copia fedele di un’idea del mondo. Si passa poi alle riflessioni di José Antonio Sanchéz sulle possibilità dell’etica nella rappresentazione: l’autore si interroga sul confine tra recitazione, rappresentatività e rappresentazione, tra virtuosismo e sacrificio, attraversando pratiche artistiche come quelle di Angélica Liddell, di Mapa Teatro o di Rabih Mroué. In questo contesto, non possono che mutare profondamente anche i modelli interpretativi: Rossella Menna ne indaga i radicali cambiamenti, con particolare attenzione alle dinamiche relazionali che uniscono l’artista e lo spettatore. Allo spettatore e alle modalità di accesso ai rinnovati elementi della scena guarda anche Sergio Lo Gatto, che si concentra sulla morfologia digitale della spettatorialità a partire dalla trasformazione del concetto di mimesis conseguente alla diffusione dei paradigmi digitali del web 2.0.

Nella sezione del Taccuino, i contributi prendono le mosse dall’osservazione attenta e critica della scena contemporanea degli ultimi dieci anni, ma allargano il campo ponendo nuovi interrogativi per il teatro di domani. Renato Palazzi riflette sull’accelerazione che negli ultimi dieci anni ha segnato l’abbattimento delle gabbie formali della scena, e sul suo muoversi tra autenticità e sincerità artefatta: la liberazione dalla necessità della finzione è un ribaltamento di prospettive non privo di conseguenze. Massimo Marino rivolge uno sguardo disincantato a quel labile confine tra invenzione e realtà, nell’assordante (e silenziosa) stratificazione di segni e immagini che, appartenendo al nostro quotidiano, rendono viva la scena. Roberta Ferraresi parte invece da un “elogio della biodiversità” per raccontare i teatri italiani degli ultimi dieci anni, ripercorrendone esperienze artistiche e sguardi critici. Al centro della riflessione di Oliviero Ponte di Pino si colloca l’intreccio di storia e teatro, con un approfondimento su Milo Rau e il suo meticoloso lavoro documentaristico che, dalla realtà alla scena, crea dispositivi esperienziali complessi. È un rapporto fragile, quello con il reale: Lorenzo Donati si chiede, a partire da quattro casi studio (Daniele Albanese, Fagarazzi & Zuffellato, Fanny & Alexander, Teatro Sotteraneo), quali direzioni generali abbia acquisito l’idea di rappresentazione, a contatto con un quotidiano sempre più tessuto di mediazioni. L’uso del mezzo tecnologico, e in particolare del video, ha negli ultimi anni aperto a nuove possibilità di sconfinamento tra reale e iperreale; e fuori dalla scena, anche il grande schermo si sta inevitabilmente confrontando con gli stessi problemi (su questo riflette Roberto Rizzente, guardando all’immagine tra cinema e teatro). Per tentare di tracciare un quadro delle trasformazioni in corso, non possono mancare le testimonianze degli artisti che operano quotidianamente nel ‘cantiere’ della mimesis. Da Rodrigo García, ad Agrupación Señor Serrano e Berlin, e da Cuocolo Bosetti a Massimiliano Civica: non c’è chi non si interroghi in maniera radicale sui contorni imprendibili della parola “realtà” e su come portarne gli echi sul palco.

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