Il teatro-fiume? Probabilmente è nel DNA dei Greci. Basta pensare alle antiche Dionisie, quando gli Ateniesi sospendevano le attività quotidiane per un’immersione totale nel teatro. Il Festival Atene-Epidauro sembra essere un degno erede della tradizione. Nel 2013, per esempio, si era aperto con un’Iliade di cinque ore (regia di Stathis Livathinòs), e aveva poi sconvolto abitudini e prospettive con lo spettacolo di Ghiannis Kakleas dedicato a Samuel Beckett, tratto dal romanzo Mercier e Camier (scritto nel 1946 e pubblicato nel 1970). Un monstrum non nel senso di super-produzione o effetti speciali, quanto per la durata: ventiquattro ore, a partire da mezzanotte. Numi tutelari di ispirazione: Peter Brook, capace di incantare per ben nove ore con il suo Mahbharata (1985), e naturalmente lo straordinario mondo di Beckett.

Quattrocento spettatori avevano raccolto la sfida di Kakleas: armati di thermos, zaini e sacchi a pelo, avevano scelto di passare una giornata diversa, per ‘viaggiare’ insieme agli eroi beckettiani. Fu un’esperienza unica nel panorama greco, ideata come un esperimento, all’insegna di libertà e improvvisazione. “Il nostro pubblico deve sentirsi libero. Quello che chiediamo è la condivisione. Perché insieme toccheremo gli estremi della stanchezza e dell’estasi. Per arrivare al punto in cui Mercier e Camier, Beckett, noi, il tempo, la musica, lo spazio, diventano una cosa sola. Un tutto senza tempo. Questo è il nucleo dell’esperienza beckettiana”, dichiarava allora l’affermato regista (intervista a EF 34, 2013). Chi si è cimentato in quell’avventura racconta la forte sensazione di appartenenza alla comunità di teatro-nauti, stanchi ma felici di credere che l’Arte è capace ancora di unire. Come quel signore che alla fine, commosso, dichiarava che l’unica via di uscita (alla crisi economica e dei valori) passa attraverso il teatro (Olga Sellà, O Anagnostis, 01.07.2013). Non più e non solo rituale mondano, il teatro quindi rivendica una nuova temporalità condivisa, possibile soprattutto nell’ambito di un festival. Per attori e per spettatori trascorrere ventiquattro ore a teatro significa sperimentare una modalità di vita-a-teatro, che per certi aspetti ricorda le feste agonali antiche: allora come ora, un modo diverso e condiviso per riflettere sulla polis.

Orfani non inconsolabili di Jan Fabre che aveva previsto una replica di Mount Olympus a Epidauro (qui un racconto delle circostanze delle sue dimissioni da Direttore Artistico), i Greci sono accorsi numerosi al nuovo esperimento di Kakleas, dedicato a Sarah Kane, che secondo il regista è, dopo Beckett, colei che ha impresso una svolta irrinunciabile al teatro contemporaneo. La maratona teatrale – andata in scena l’8 e il 9 luglio 2016 – è durata “soltanto” da mezzanotte alle sette di mattina. Il testo prescelto, già noto in Grecia per altri allestimenti, è Psicosi delle 4:48, il canto del cigno della scrittrice che di lì a poco si sarebbe suicidata. La particolarità: il testo ha preso il via proprio alle ore 4:48. L’idea infatti è quella di guidare gli spettatori nel mondo della Kane, di passare una notte insonne illuminata dai bagliori della sua scrittura profonda e sferzante. “Invitiamo gli spettatori a uno spettacolo che dura tutta la notte, una veglia, ai limiti della performance. L’obiettivo è di cercare tutti insieme un contatto con il mondo di Sarah Kane, una donna che affondò lo sguardo negli abissi della realtà, rivelandone la violenza dirompente, la disumanità, il lato terribile ed oscuro” (intervista a Artinews 08.07.2016). In scena, oltre venti attori (compagnia Citizens Kane), conosciuti da Kakleas lo scorso inverno durante un ciclo di lezioni gratuite offerte presso il Teatro “Gloria” – succede anche questo, nell’Atene della crisi “affamata” di teatro! Nelle prime tre ore i giovani intrecciano improvvisazioni e motivi, oggetti e ossessioni tratti dai testi della Kane. Un clima di tensione fino alla “psicosi”, intesa come il momento epifanico, quando lo sguardo lucido e puro dell’artista riesce a penetrare la realtà come fosse trasparente. Un urlo di rabbia e di poesia, non affidato alla voce sola di un’attrice (come in Italia, nelle memorabili prove di Giovanna Mezzogiorno, Giovanna Bozzolo, Valentina Capone, Monica Nappo), bensì in un mosaico frammentato di voci, per un dramma intimo e collettivo.

Perché sette ore di spettacolo? “Non voglio che lo spettatore venga qui semplicemente per vedere: sarà qui con noi, per ascoltare quello che abbiamo da dire o, se vuole, partecipare” (intervista a To Vima, 12.06.2016). Kakleas crede insomma nella lunghezza come forma di iniziazione e nuova comunicazione con il suo pubblico, dentro al teatro e grazie al teatro. In questo viaggio, ognuno è libero: può muoversi, alzarsi in piedi per sgranchirsi, uscire, tornare, riposare nei sacchi a pelo preparati appositamente. Alle 3:30 un tocco gentile sveglia chi dorme, gli aiutanti distribuiscono cibo e bevande, e in una sorta di rito magico tutti si possono “sintonizzare” con le voci interiori di Sarah Kane, abbandonandosi al monologo torrenziale e sofferente del suo inconscio.

Passare la notte con Sarah e immergersi nel suo mondo è un atto dovuto per capire la portata rivoluzionaria della sua scrittura. Ma non solo. “Il concetto di psicosi purtroppo oggi in Grecia ci è familiare: le notti sono difficili, i rapporti interpersonali sono compressi, l’amore trattenuto” (intervista a Athinorama, 06.07.2016). Palpiti condivisi in un tempo di comune angoscia, per sondare insieme gli abissi. E quando insieme capiremo le Erinni del nostro inconscio, potremo guardare con lucidità le possibilità di un altrove, forse migliore.

Gilda Tentorio

 

 

Gli spettacoli citati nell’articolo sono:
– Mercier e Camier, di Samuel Beckett (24 ore), regia di Ghiannis Kakleas, 29.06.2013
Psicosi delle 4:48, di Sarah Kane (7 ore), regia di Ghiannis Kakleas, 8-9.07.2016