di Phoebe Zeitgeist
regia di Giuseppe Isgrò
drammaturgia di Margherita Ortolani / dramaturg Francesca Marianna Consonni
visto all’Elfo Puccini di Milano _ 6-8 maggio 2015

È un’aliena la musa ispiratrice della compagnia fondata da Giuseppe Isgrò: Phoebe Zeitgeist, protagonista di Sangue sul collo del gatto di Fassbinder, viene mandata sulla terra e si scontra con l’impossibilità di comunicare.
Un omaggio al grande drammaturgo tedesco, ma anche una dichiarazione di intenti: il lavoro del gruppo è orientato a una continua ricerca del senso delle parole, di ciò che dicono, disdicono, sottintendono, non riescono a esprimere, sradicando significati e stratificazioni.

Preghiera nasce – come le altre proposte della rassegna ‘Contagio’ – nel contesto del Teatro Garibaldi di Palermo, occupato per più di un anno e divenuto per molte compagnie luogo di incontro e scambio creativo: “una comunità di grande rilievo culturale e umano che ancora oggi ci accompagna”, racconta Isgrò, “perché quella convergenza di intendimenti politici continua a essere fonte di ispirazione”. Un ‘contagio’ che unisce nord e sud e che si traduce in scambi e collaborazioni incrociate.

Al centro di Preghiera il progredire della malattia: un morbo qualunque che si radica lento ma implacabile, tanto in profondità da farsi un tutt’uno con l’essere umano e da annullare la vita al di fuori della sofferenza. Una trappola esistenziale che ingabbia l’individuo tra le pratiche assurdamente ripetitive dell’ospedalizzazione moderna e la compassione voyeuristica di chi gli sta accanto. Anche la drammaturgia offre un confondersi di linguaggi tecnici e parole di dolore, una straniante sovrapposizione tra la fredda enumerazione di termini medici e la precisa, inquieta corporeità di Margherita Ortolani. “Pietà o silenzio”: questo si implora sia per chi è morto sia per chi è riuscito a guarire nel fisico, all’altissimo prezzo di non riconoscersi più.

La regia procede per frammenti, rinunciando a una struttura narrativa sistematica e inducendo piuttosto il pubblico a perdere le coordinate: i piani dello spettacolo si moltiplicano e si rifrangono nel tappeto sonoro creato ad hoc da Giovanni Isgrò, tra microfoni e luci accecanti. Il rischio è quello dell’accumulo e dell’eccesso di stimoli, nei quali lo spettatore finisce per smarrirsi, perdendo talvolta di vista il forte nucleo di significato. Ma Preghiera ci ricorda, tra il sussurro del ricordo e l’urlo di rivolta, che occuparsi della malattia del corpo significa occuparsi anche della sofferenza dell’essere umano nelle sue più varie forme.

Chiara Marsilli