È ancora fresca la firma di Eva Neklyaeva sul ‘ritratto’ 2017 di Santarcangelo dei Teatri, tanto che sotto la vernice appena stesa insieme a Lisa Gilardino, co-curatrice del festival, si possono ancora intuire le fisionomie delle precedenti stesure. Una sovrapposizione morbida, più che una vera e propria continuità con la gestione Bottiroli, quasi a voler rendere meno brusco e tortuoso il passaggio di consegne. È così che, anche quest’anno, in barba alle puntuali polemiche dei benpensanti e alle strumentalizzazioni politiche già di casa nelle scorse edizioni – si pensi alla querelle su Tino Sehgal in piazza Ganganelli – il festival mantiene ferma la rotta su interdisciplinarità e fluidità di generi. Sia sul versante della sperimentazione performativo-installativa, dove i nomi di Dana Michel, dei Motus, di Merman Blix hanno garantito un certo hype (più o meno confermato a seconda dei casi), sia in termini di intrattenimento, con uno dei dopo-festival più suggestivi e pop degli ultimi anni. La domanda però rimane: varcare un confine comporta sempre, necessariamente, una ragionevole cautela, o si può osare di più, magari prendendosi qualche rischio? Proprio sul tema del limite e sulle modalità di esplorazione di un’area di frontiera, incerta e potenzialmente rischiosa, si interrogano due delle performance più interessanti andate in scena nel secondo weekend di programmazione: Cock, Cock…Who’s there? dell’artista finnico-egiziana Samira Elagoz e Goodnight, Peeping Tom di Chiara Bersani. Al centro di entrambi i lavori il corpo umano/femminile/artistico, inteso come strumento capace di suscitare attraverso l’eros un’ampia gamma di possibili interazioni e desideri, terrae incognitae per eccellenza.


Eva Neklyaeva e Lisa Gilardino

Cock, Cock…Who’s there? si presenta come saggio-shock con cui la giovane artista si è diplomata alla SNDO (School for New Dance Development) di Amsterdam. La performance si configura da un lato come narrazione del doppio stupro subito dalla Elagoz – il condizionale è d’obbligo in un lavoro che gioca sul filo della docu-fiction – prima da un fidanzato e poi, a distanza di tempo, da un “amico”; dall’altro come vera e propria inchiesta artistico-sociologica, ad alto tasso di provocazione. “So che probabilmente vi infastidisce sentirlo, ma lo stupro per me è stata la molla” dichiara candidamente la Elagoz, sola sul palco, mentre introduce i diversi documenti video che compongono la sua indagine. Una ricerca inquietante, focalizzata sulla violenza e sull’intimità che si possono innescare tra sconosciuti, un progetto che vuole raccontare come si declina la relazione tra sessi all’epoca di Tinder e Pornhub, delle chat e degli incontri in rete. È così che mentre si osserva talvolta apertamente inorriditi, talvolta perversamente affascinati, la lunga carrellata di volti e persone chiamate a testimoniare la vacuità e il degrado della nostra specie 2.0 (in particolare quella di genere maschile), vengono in mente alcune considerazioni.


Cock, Cock…Who’s there? di Samira Elagoz

La prima, più generale, è sull’attuale supremazia del binomio realtà-finzione nelle arti performative, dove il verosimile diventa sempre con maggior frequenza più reale del reale; la seconda – quasi un corollario della prima – porta a riflettere su come in epoca di populismi globalizzati gli stereotipi e i bassi istinti che li alimentano (dal “te lo sei cercata!” in occasione della seconda violenza, all’idea che gli uomini siano tutti dei “patetici predatori”) siano ormai, problematizzati o cavalcati, merce spettacolare con un floridissimo mercato. Infine si prende atto di come la provocazione, la sua stratificazione a diversi livelli, diventi materia concreta, sedimentata e organica di questo lavoro. C’è quella visivamente esplicita come quando la performer sputa, in diversi take video, quello che sembra sperma – dichiarando il rigetto del seme maschile e giocando, contemporaneamente, su un frequentato cliché pornografico; quella demistificante: nonostante tutti i tipi loschi che incontra grazie al web, i due stupratori sono amici/fidanzati provenienti dalla propria quotidianità; quella giocata in absentia: nonostante il suo status di vittima implichi una naturale empatia, la Elagoz tiene a distanza lo spettatore, negandogli qualsiasi partecipazione emotiva e stabilendo una certa “confidenzialità asettica”. Come se il vero interesse dell’artista non fosse tanto la questione dello stupro in sé, bensì la ricezione da parte dello spettatore della sua narrazione: il suo linguaggio fugge dall’intimità del qui e ora per rifugiarsi nel più elusivo codice filmico, dove a farla da padrone è l’ambiguità del montaggio con la sua giustapposizione di immagini/formati e parole. Insomma, a colmare la distanza tra realtà e finzione, tra idea e stereotipo, tra provocazione fine a se stessa e ricerca artistica rimane, di fatto, solo l’occhio dello spettatore. Ed è del resto proprio lo spettatore a incarnare l’esemplare perfetto de “l’uomo contemplativo” che popola la nostra epoca: colui che esplora ogni limite, ogni frontiera (da quelle letterali rese a portata d’occhio da google map, a quelle ‘metaforiche’ come il sesso online) attraverso il proprio vedere, prima che con qualsiasi altro senso.

Marta Ciappina per Goodnight, Peeping Tom di Chiara Bersani

Guardiamoci negli occhi, allora! Sembra suggerirlo anche Chiara Bersani che con Goodnight, Peeping Tom dichiara fin dal titolo come ‘osservare’ sia l’elemento chiave della sua performance, ideata per cinque spettatori a replica. Un piccolo gruppo di partecipanti è infatti invitato a condividere lo spazio di una stanza vuota con quattro presenze (due uomini e due donne, tra cui la Bersani stessa) le quali, in un’escalation di sguardi, cercheranno di instaurare tra i vari soggetti una relazione sempre più esplicita. L’idea è quella di ‘rivelare’ lo spettatore a se stesso, fargli vivere senza sconti la sua condizione di ‘guardone’, una dimensione che comporta una serie di responsabilità: starà a lui non solo scegliere la prospettiva da cui ‘spiare’ le coppie e i piccoli assembramenti che si formano nella stanza, ma anche la possibilità di stabilire o meno un contatto fisico con i vari interpreti. Col passare dei minuti i perfomer si mostrano infatti sempre più ammiccanti, trasformando la prossimità in promiscuità: c’è chi si libera delle scarpe da ginnastica, chi di una felpa, chi, chinandosi in avanti, sorridendo o addirittura aprendo per un momento le gambe, dà vita a piccole coreografie di tentazione. Ancora una volta la barriera è lì, invisibile ma allo stesso tempo tangibile: oltrepassarla con un gesto o solo con gli occhi? A complicare ulteriormente la faccenda, viene chiesto discretamente a ciascun “guardone” tra il pubblico di scegliere – qualora ne avesse voglia – uno dei performer con cui trascorrere un tête-à-tête in una sorta di privè/confessionale. A questo punto lo spettatore deve di nuovo fare due conti: assecondare le proprie inclinazioni sessuali o scegliere qualcosa di diverso? E soprattutto: è davvero giusto acconsentire a un incontro privato, considerato il substrato erotico e in particolar modo la disponibilità coatta dei quattro performer? Si aggiunga poi che la condizione ‘altra’ della Bersani (afflitta da una forma medio-grave di osteogenesi imperfetta) mette coraggiosamente sul piatto un ulteriore dilemma: come relazionarsi ‘realmente’ (e quindi anche sessualmente) alle persone con una disabilità? A ciascuno il compito di trovare le proprie risposte.


Chiara Bersani

L’impianto teorico di Goodnight, Peeping Tom è sicuramente fascinoso e tutt’altro che accomodante nel suo gioco delle parti, una dimensione incerta dove i ruoli si possono invertire da un momento all’altro e il soggetto può diventare di colpo oggetto della visione; da un punto di vista realizzativo/spettacolare però i punti di forza del lavoro rischiano di trasformano in limiti strutturali. Il suo delegare in tutto e per tutto allo spettatore la possibilità di uno scambio, fa aderire troppo la situazione performativa alla realtà: così, se non si è particolarmente intraprendenti, o se si vuol essere rispettosi del corpo/intimità altrui – e dopo “la cura Ludovico” della Elagoz anche i normali scrupoli di correttezza diventano quasi degli imperativi morali! – per un’ora e dieci non accade nulla o quasi. Rimane infine la curiosità di sapere quanto lontano sono disposti a spingersi i perfomer nel proprio mettersi a disposizione dei partecipanti: cosa accadrebbe se qualcuno allungasse troppo le mani? Sarebbero davvero inclini a portare l’esperimento alle sue estreme conseguenze (come osò fare Marina Abramovic a Napoli nel ’74, per intenderci) e a farsi, senza remora alcuna, puro veicolo di percezione? O c’è piuttosto un limite, che sguardo, gesto e arte non possono oltrepassare? Quel che è certo è che “Guardare non è più un atto innocente”. Lo dichiarava Romeo Castellucci in un motto ideato appositamente per un Santarcangelo di qualche anno fa, che può tornare buono anche per questa edizione – a riprova di una certa linearità tra le passate edizioni e quella presente. L’occhio dello spettatore non è allora semplice strumento esplorativo per le regioni sconosciute del corpo, del sesso o di qualsivoglia confine del vivere quotidiano, ma è prima di tutto soggetto politico. Colonizzatore prepotente, turista conformista o viaggiatore rispettoso di ogni alterità, sceglietelo voi.

Corrado Rovida


Cock cock…Who’s there?
di Samira Elagoz
con Samira Elagoz, Ayumi Matsuda, Tashi Iwaoka
regia, riprese, montaggio: Samira Elagoz

Goodnight Peeping Tom
di Chiara Bersani
Con Chiara Bersani, Marta Ciappina, Marco D’Agostin, Matteo Ramponi
Assistente alla creazione: Eleonora Cavallo
Consulenza drammaturgica, disegno luci: Luca Poncetta

Visti nell’ambito di Santarcangelo dei Teatri_14-16 luglio 2017