«Noi non abbiamo un corpo, noi siamo un corpo» affermava il filosofo Maurice Merleau-Ponty (Fenomenologia della percezione, 1945). D’altronde, il corpo umano non è oggetto, ma soggetto della nostra esperienza, è archivio del nostro vissuto e quindi sostrato identitario di ciascun individuo. E proprio l’indagine della propria identità, attraverso il movimento, è una delle tendenze più esplorate (nonché complesse) negli spazi di performance di oggi. Anche il lavoro proposto in 1|2|3 Solos & Duos tende in questa direzione: i giovani artisti coinvolti sfruttano gesto e spazio per vivisezionare il proprio essere e il proprio vissuto al fine di esporlo agli occhi del pubblico. La stessa Naomi Perlov, direttrice artistica del progetto, durante la giornata di scambio con i danzatori presso Dancehaus, spiega come, nei cinque assoli e nei tre duetti che compongono lo spettacolo, il focus del lavoro sia stato la rielaborazione della realtà dei singoli performer —  il Suzanne Dellal dance centre, d’altronde, è nato proprio per formare i nuovi danzatori dello stato di Israele.

Sul palco nudo si affaccenda un caleidoscopio di mezzi d’indagine della realtà, filtrati attraverso l’individualità di coreografi e danzatori. C’è chi sfrutta una gestualità disarticolata e un’energia quasi tribale (magari, per contrasto, sulle delicate note di Debussy); chi si muove instancabile in esplorazione dello spazio; chi sembra agire contro il suo volere o chi, al contrario, appare come un automa incosciente. Insomma, codici fisico-gestuali variegati che attraversano un paesaggio musicale ricco di citazioni, suggestioni e interferenze. Lo scavo delle esibizioni arriva ad affrontare tematiche delicate come lotte personali ed eredità culturali: la coreografa Nur Garabli, unica palestinese nel collettivo, nel suo icastico assolo Seventythree, attraversa il dabke, la pittura, la musica religiosa e popolare, il tutto vivificato dalla potenza della performer Miso Samara.Una modalità compositiva ben differente è invece quella di Dana Sapir. Nei due capitoli del suo lavoro multimediale Point of you, utilizza la narrazione dell’incontro tra due umani isolati come partitura dei movimenti dell’assolo — una camminata surreale nello spazio liminare di una persona rimasta sola «at the folding point of the universe» — e del duetto — in cui il dialogo tra una performer acrobatica che si muove in un cerchio sospeso e una che si muove a terra esplode nell’impossibilità di toccarsi davvero.

Anche il progetto di illuminotecnica segue da vicino la poesia del gesto, in perfetta continuità e riverbero alla performance stessa. Nel duetto Object M, ad esempio, i danzatori (Ron Cohen & Elie PolyRock Haddad), inizialmente agganciati l’uno al corpo dell’altro nella costruzione di movimenti interdipendenti, a un certo punto si separano: i proiettori tracciano sul pavimento due rettangoli paralleli per delimitare lo spazio che ciascun danzatore può percorrere. I performer in questo modo sono separati rigidamente e mai osano valicare i propri limiti.

Particolarmente incisiva si dimostra, infine, Oxytocin (con Gil Elgrabli, Tamir Golan): uomo e donna si scambiano costantemente il ruolo di burattino e burattinaio. L’uno dirige il movimento dell’altra e viceversa con una forza brutale che sembra quasi frutto di rancore, di dolore diventato ormai odio. Questo gioco malefico di una coppia disfunzionale, in cui la sofferenza dell’uno porta l’altro alla gioia, è interrotto solo da una sorda e prolungata risata senza cuore e apparentemente senza fine. Lo specchio coreografico di un amore distrutto e tormentato che, a sua volta, riesce a tormentare il pubblico.Ad accomunare la varietà espressiva e tematica degli interventi, è la tendenza ad allontanarsi dal virtuosismo fine a sé stesso, lasciando spazio ad una ricerca e a una sperimentazione evidentemente genuina. Si assiste così a una danza-laboratorio, in cui i gesti, una volta sottratti dalle costruzioni e dalle sovrastrutture di una quotidianità e normalità globalizzata, emergono e sgorgano in totale autonomia e libertà.

Anna Farina, Alessandro Stracuzzi


foto di copertina: Anne-Sylvie Bonnet

coreografie Noam Fruchtlander Caspi, Dana Sapir, Nur Garabli, Tamir Golan, Lal’el Pillora, Ron Cohen
danzatori Noam Fruchtlander Caspi, Dana Sapir, Jennifer Cohen, Laura López Muñoz, Tamir Golan, Gil Elgrabli, Lal’el Pillora, Misan (Miso) Samara, Ron Cohen, Elie PolyRock Haddad
ceo Anat Fischer-Leventon
direttrice artistica Naomi Perlov
vicedirettore Claudio Kogon
direttrice della programmazione e della produzione Shimrit Golan Cohen
produttrice 1|2|3 Sheyzaf Zach
direttore di palcoscenico Shully Tseiger
produzione Suzanne Dellal Centre, Israel


Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview