In uno spazio vuoto e impeccabilmente bianco, un abete sospeso in orizzontale ruota su se stesso con un moto lento: sfidando ogni forza di gravità, l’albero gira proiettando la propria ombra in una sospensione ipnotica.

È una scena di estrema grazia quella con cui si apre 19 luglio 1985, nuovo lavoro di OHT, che ha debuttato al Teatro Sociale di Trento – aprendo insieme la stagione Grande Prosa e la più sperimentale Altre Tendenze – e che segna una nuova tappa della ricerca di Filippo Andreatta nell’esplorazione del teatro musicale e della rappresentazione del disastro ambientale. Dopo Curon/Graun (2018, qui la recensione pubblicata su Stratagemmi), che portava in scena la cancellazione dell’omonimo villaggio della Van Venosta sommerso nel 1950 dal lago di Resia,  bacino artificiale destinato alla produzione di energia idroelettrica, questo nuovo lavoro parte invece dalla strage della Val di Stava: era il 19 luglio 1985 quando i due grossi bacini realizzati per la decantazione dei materiali della miniera del monte Prestavel crollarono, provocando un’onda di fango che ha cancellato in pochi secondi il paese di Stava. Oltre ai 268 morti, i danni materiali furono immensi. Alla cancellazione del paesaggio e della memoria collettiva si aggiunge qui, rispetto alla vicenda di Curon, il dramma delle vittime e la responsabilità umana del disastro, la cui portata non è mai stata riconosciuta.

Definito come “tragedia alpina”, lo spettacolo restituisce consistenza fisica a un lutto che non ha avuto catarsi. Se in Curon l’immaginario era tutto riferito all’elemento rimasto visibile nel paesaggio – il campanile parzialmente sommerso, che diviene immagine iconica della vicenda – e l’apparato musicale era interamente demandato al tintinnabuli di Arvo Pärt, 19 luglio 1985 lavora in modo ancora più complesso sulla rappresentazione dell’assenza. L’onda di fango prende la forma di una massa di voci e suoni, luci e ombre che danno consistenza al vuoto. La narrazione si limita a ricostruire i fatti attraverso un testo proiettato sul velatino che divide la scena dalla platea: i dati e poche immagini – dapprima proiettate in piccolo, come vecchie diapositive, per evocare i luoghi della strage, poi esposte stampate su teli che vengono srotolati fino al loro inevitabile crollo a terra – accompagnano lo spettatore all’interno di una dimensione fortemente percettiva affidata all’apparato visivo e sonoro che dà vita a un’espressività complessa e stratificata. Particolarmente esemplificativa in questo senso è la consistenza data al sismogramma che ha registrato la forza dell’onda, documentando i pochi minuti impiegati dalla colata per raggiungere la valle di Stava. L’immagine tecnica che rileva la relazione tra spazio e tempo di quell’onda entra in risonanza con suoni, battiti, luci e ombre e sembra registrare, oltre alle scosse che hanno determinato il disastro, la cadenza di battiti vitali: dal punto di vista scenico sembra persino evocare la proiezione grafica degli infiniti giri dell’albero che ora giace sul palco.

Il suono pensato da Davide Tomat è una sintesi di strumenti acustici e suoni naturali, modificati per costituire un tessuto sonoro che collega i tre cori su cui si costruisce la struttura della tragedia: la melodia del coro di montagna iniziale, e poi Again – After ecclesiastes di David Lang e le dissonanze de Lux Aeterna di Gyorgy Sandor Ligeti, questi ultimi cantati in scena dall’Ensemble vocale Continuum diretto dal maestro Luigi Azzolini. Raccogliendosi intorno all’albero, bianchi come lo spazio di cui fanno parte, i membri del coro rappresentano un’immagine spettrale, di assenza. Proprio come avveniva nella tragedia greca, di fronte al disastro si propone una condivisione civica dell’evento tragico: la comunità se ne fa carico e lo piange collettivamente. In una strage rimasta senza colpevoli e dimenticata, il coro sembra dare così espressione drammatica al proprio ruolo politico, facendo da contrappunto alla negligenza delle istituzioni e cercando di riempire “il solco tra colpa e catarsi”.

Anche qui, come accadeva in Curon, la vicenda apre a diversi livelli di esplorazione del rapporto tra uomo e natura: la devastazione del paesaggio, la distruzione della memoria, la fragilità dell’equilibrio tra antropizzazione e ambiente e l’incapacità di porre gli interessi collettivi del nostro ecosistema davanti alle ragioni dell’economia e del potere. Ma in 19 luglio 1985 sembra esserci una maggiore sensibilità a un’estetica che va oltre lo sguardo, nell’individuare un linguaggio capace di raccontare per astrazione qualcosa di devastante e imprevedibile, portando in scena la consistenza del tempo, del suono, dell’assenza, persino del silenzio.

L’abete è l’elemento simbolico che attraversa la tragedia restando sempre sulla scena, evocando le centinaia di alberi sradicati dal fango e dall’aria in pochi minuti. Prima sospeso in una rotazione dolce e ipnotica, poi crollato a terra e illuminato dalle basse luci al neon di uno spazio bianco e asettico, infine coperto con un gesto di umana pietà. La strage di Stava diviene così l’espediente narrativo capace di fare dialogare l’astrazione con la concretezza della storia, ma anche di evocare allo stesso tempo la forza di eventi che continuano a cancellare, frammento dopo frammento, i luoghi più fragili del nostro pianeta.

Francesca Serrazanetti

[ph: © MoniQue foto – Monica Condini]


19 LUGLIO 1985. Una tragedia alpina
di OHT | Office for a Human Theatre

“Lux Aeterna” di György Sándor Ligeti
“Again – after ecclesiastes” di David Lang
“ndormenzete popin” canto di montagna
coro Ensemble Vocale Continuum
maestro del coro Luigi Azzolini

regia, scena e testo Filippo Andreatta
drammaturgia Marco Bernardi
corifeo, musiche e suono Davide Tomat
scenografia e costruzione Alberto Favretto
luci William Trentini
responsabile palcoscenico Viviana Rella
best-girl Letizia Paternieri
assistente regista Veronica Franchi
video Armin Ferrari
produzione e amministrazione Laura Marinelli
promozione e distribuzione Laura Artoni
esperto giardiniere Cleto Matteotti
tecnico del suono Claudio Tortorici
sviluppo elettronico e automazioni Enrico Wiltch
animale guida il Cervo

produzione OHT
co-produzione Romaeuropa Festival, Centro Santa Chiara Trento
residenza artistica Centrale Fies art work space
con il contributo di Fondazione Caritro, Provincia Autonoma di Trento
con il patrocinio della Fondazione Stava 1985

Visto al Teatro Sociale di Trento_7-10 novembre 2019