In Processo Galileo, Carmelo Rifici e Andrea De Rosa mettono in scena uno spettacolo che indaga in che modo scienza e religione possano dialogare, in cosa riesca l’una e manchi l’altra (e viceversa), muovendosi tra fenomeno e fede, tra verificabile e inverificabile.

Cosa sarebbe successo se Galileo, difesa la propria posizione a discapito della vita, fosse stato eretto a icona della filosofia illuminista e del sentimento rivoluzionario francese?

L’analogia tra rivoluzione galileana e Rivoluzione francese porta Galileo al centro delle rappresentazioni artistiche e propagandistiche di un nuovo ordine, non solo politico.

  1. La Rivoluzione francese è nel pieno del suo corso. A un forte sentimento nazionale e riformatore per la patria, si affiancano simboli potenti, nel tentativo di rappresentare l’ascesa di un ordine nuovo, capace di rivendicare la libertà dei popoli, il progresso, il sentimento militante. Tra questi, proprio Galileo Galilei, morto a difesa della verità, diventa la figura che, cannocchiale impugnato, volge sé stesso e la folla a combattere per la libertà e il progresso.

Galileo è definito “martire per la scienza” e incarna il diritto alla rivendicazione dei popoli.

Nel suo discorso alla Convenzione, Robespierre, dopo aver citato l’accademico pisano, aggiunge:

Si ritenga quindi un diritto, per lo stato, per l’immagine che la popolazione ne vuole dare, che anch’esso di diritto ne scelga i propri rappresentanti storici, come martiri della rivoluzione, come santi protettori della repubblica, così come già furono scelti, dalla chiesa e dal papato, i loro propri.

È infatti il richiamo al martirio, al sacrificio verso la causa che Galileo ha patito, a costituire il fulcro di tutta la figurazione e della propaganda a sostegno della forma parlamentare.

Il pisano accende in modo emblematico anche i moti rivoluzionari di metà Ottocento.

Il proletariato, assoggettato a una borghesia economicamente crescente, dà avvio alla Primavera dei popoli: come teorizzato da Marx e Engels nel Manifesto (1848), è la classe operaia l’unica che possa farsi portatrice di un cambiamento sociale profondo, al fine di abolire la divisione in classi.

In questo frangente compare anche l’avversione per i nuovi mezzi di produzione industriale, anch’essi responsabili della precarietà e della vanificazione della tecnica.

Nell’ideologia marxista, ciò che suscitava particolare attrazione per Galileo è la valorizzazione scientifica della tecnica, di contro al valore puramente economico individuato dai capitalisti nei nuovi macchinari dell’industria. Era necessario quindi riscoprire il valore dei mezzi di cui l’uomo poteva servirsi – per conoscere il mondo e plasmarlo – e distruggere le macchine che invece asservivano l’uomo e lo riducevano a un mero oggetto meccanico.

La figura di Galileo rimane così in tutto l’immaginario propagandistico comunista e socialista: sostenitore del proletariato e delle specializzazioni in ogni arte.

Nel 1985, il neopresidente Gorbaciov fu considerato grande erede di Galilei, per il suo sostegno alla libertà di espressione e alla democrazia del Blocco orientale. Quando i legami con gli Stati Uniti sembravano riprendere in chiave pacifica e collaborativa, Galileo comparve su alcuni opuscoli propagandistici che auspicavano un nuovo periodo di contatti prosperi tra USA e URSS. È così che alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, Galilei – che già era entrato nelle case di ogni cittadino americano e, ai primi del Novecento, russo – fu considerato il padre della concordia dei popoli, l’occhio vigile che aveva guidato le nazioni verso una riappacificazione internazionale.

Tale fu l’uso dell’immagine dell’astronomo, che Galileo divenne simbolo del successo dei rapporti politici per eccellenza; ecco allora che lo si ritrova in una delle riproduzioni in sequenza di Andy Warhol: icona dalle multiple sfaccettature, bene di consumo fine a sé stesso, Galileo non era più un singolo, ma le mille sfumature che gli aveva dato la storia.

Patrizia Costa


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