La prima edizione di Sienafestival è stata ideata nel segno degli incroci e delle contaminazioni. Sono state tre diverse realtà – Voci di Fonte, Contemporaneamente Barocco e TeatrInScatola – a unirsi e a dare vita a un’unica programmazione, estesa a oltre tre settimane di appuntamenti. A motivare e guidare questa fusione è stata certo la necessità di ottimizzare forze e risorse; ma le tre esperienze condividono anche il medesimo sguardo portato su una contemporaneità meticcia e frastagliata, intesa come urgenza irrinunciabile per chi voglia fare arte oggi. Di contaminazione, del resto, parla molto chiaramente il programma: si passa da Elio e le Storie Tese alla musica barocca; dalla danza contemporanea di Balletto Civile (leggi la recensione) fino alla nuova drammaturgia di Daniele Timpano; dalla fotografia di Francesco Minucci e di Franco Fortini (leggi la recensione) al cinema di Andrea Segre. Per il teatro, Sienafestival ha intercettato alcuni tra i nomi più interessanti emersi nei circuiti estivi (che approderanno nelle stagioni di cartellone solo in alcuni fortunati casi): tra questi, oltre al già citato Timpano, vale la pena di menzionare l’atteso Amleto di Danio Manfredini e Porco Mondo di Biancofango, Segnalazione Speciale Premio In-Box 2012.
Roberto Rustioni – reduce dal successo di Lucido di Spregelburd, diretto al fianco di Milena Costanzo – ha presentato invece Tre atti unici da Anton Cechov: un adattamento che include La domanda di matrimonio, L’orso e L’anniversario. È un Cechov meno noto quello degli atti unici: lontano dai testi drammatici più rappresentati, l’autore sperimenta qui un impianto scanzonato, sottilmente comico, da vaudeville. Anche Rustioni si muove con l’obiettivo di eludere le consuete modalità di messa in scena: chi stia pensando a certe regie alla Nekrosius, sospese e ricche di rimandi simbolici, oppure a certe prove d’attore alla Dodin, in perfetto e non riproducibile stile russo, le dimentichi. I personaggi del Cechov di Rustioni (che dello spettacolo è anche interprete) sembrano uscire da un condominio italiano, oggi: protagonisti sono i rapporti di forza tra uomo e donna, le frizioni nelle dinamiche di potere, l’incoerenza dell’agire umano. Certo è il testo stesso – un adattamento elaborato dal regista al fianco della dramaturg Chiara Boscaro – ad andare in questa direzione: la lingua è piana, quotidiana, priva di accenti melodrammatici e di riferimenti temporali. Ma è soprattutto il lavoro attorale a rendere le vicende cechoviane straordinariamente accessibili allo spettatore: il costante sforzo di credibilità e intensità degli interpreti (su tutti, l’ottima Valentina Picello) emerge come il più chiaro elemento di forza dell’allestimento. In questa prospettiva di semplicità e sottrazione, Rustioni (con l’aiuto coreografico di Olimpia Fortuni) ha indagato a fondo le dinamiche corporee dei personaggi: prendendo spunto dai molti cenni descrittivi del testo cechoviano il regista ha elaborato una partitura di movimenti quotidiani stilizzati, capaci di descrivere tensioni, isterie e moti dell’animo senza cadere nel didascalico. Dove il vocabolario coreutico resta organico a quello verbale, il gioco funziona; solo talvolta (specie sul finale) si ha l’impressione di un qualche scollamento tra i due linguaggi.
Di risultati ne ottiene non pochi, dunque, il progetto di Rustioni: rendere il testo ‘sacro’ di Cechov parola corporea, viva; restituire la natura leggera e beffarda di questi vaudeville (perfetti i tempi comici di Antonio Gargiulo) senza sacrificare sull’altare della risata spessore e complessità; ricordarci che un adattamento drammaturgico curato e un lavoro di qualità sugli attori possono dare ottimi esiti. È semplice, dopo tutto, la ricetta per fare del buon teatro.
Maddalena Giovannelli