Roma, 4_14 settembre 2014

La nona edizione di Short Theatre, ospitata presso la Pelanda, ex-mattatoio protagonista ormai da anni di una riconversione a centro di produzione culturale, si è chiusa lo scorso fine settimana.
Raccontare la rassegna romana, specialmente per chi frequenta platee per lo più milanesi, offre l’occasione per una riflessione trasversale sullo spazio per l’incontro e la ricerca proposto dal festival. Quello che, nei primi giorni di programmazione, è stato definito sulle pagine del Corriere della Sera “sottobosco teatrale” (segnaliamo a questo proposito la riflessione di Andrea Pocosgnich su Teatro e Critica) è piuttosto un collettore di esperienze magmatiche, talvolta non definitive o non complete, spesso in progress, ma che testimoniano la vitalità del teatro italiano.

Spettacoli, incontri, percorsi di formazione, djset, installazioni e conversazioni pubbliche sono stati al centro di una edizione intitolata dal direttore artistico Fabrizio Arcuri alla “rivoluzione della parole”. Qual è il linguaggio che può raccontare, e forse anche sovvertire, il nostro presente? I momenti del festival, più che rispondere a questa domanda, hanno rilanciato aprendo nuovi possibili percorsi. Prendiamo ad esempio la serata di chiusura, nella quale ben tre appuntamenti sono stati dedicati non a spettacoli compiuti ma a tappe in itinere, con i limiti e le potenzialità che questo comporta.
Il George Kaplan dell’autore francese Frédéric Sonntag è il testo che, nell’ambito del progetto Fabulamundi, è stato affidato a Veronica Cruciani: la semplice mise en espace fatica (anche a causa dei ritmi dilatati dalla lettura) a sostenere l’attenzione del pubblico per tutta la durata (oltre un’ora e mezza) ma lascia apprezzare le potenzialità di un testo intelligente e ironico in cui un nome (George Kaplan) tiene insieme tre atti e quindici personaggi diversi.
Ed è invece una “prima apparizione” quella di Jesus, il nuovo spettacolo di Babilonia Teatri che debutterà a VIE il prossimo 11 ottobre dopo una seconda apparizione a Terni Festival e una terza al Festival Contemporanea di Prato. Prendendo spunto ancora una volta dal vissuto personale e tornando ad attingere al peculiare vocabolario linguistico che ne ha segnato i primi e più consolidati successi, Enrico Castellani e Valeria Raimondi mettono in scena con una schiettezza inaspettatamente delicata i paradossi, le contraddizioni e le consolazioni del “Credo”, le difficoltà del riconoscersi in una religione, l’incertezza nel cercare le risposte da dare ai propri figli.
Se Jesus è un frammento di trenta minuti che porta davanti al pubblico, in modo già in sé compiuto, la fase intermedia di un progetto di cui attendiamo la conclusione, Every-body “Una domanda d’amore” è l’esito della seconda tappa del laboratorio itinerante ideato da Antonio Tagliarini. Dopo essere stato ospitato al Teatro di Villa Torlonia, Every-Body arriva a Short Theatre con dieci giorni di lavoro al Teatro India e la performance aperta al pubblico alla Pelanda. La relazione tra i corpi nel ballo è al centro di questo esperimento che, partendo da un (troppo lungo) studio sull’occupazione del vuoto, arriva a coinvolgere performers e pubblico in una progressiva intimità tra le persone.
Un esito laboratoriale che genera perplessità, ma che in qualche modo è il simbolo di uno spazio, questo della Pelanda, aperto alla produzione di creatività, e di un festival, Short Theatre, fatto di frammenti di un teatro inteso come ricerca, trasformazione, tentativo di trovare nuove parole e linguaggi. E per questo imperfetto, ma vitale.

Francesca Serrazanetti