di Rayhana
regia di Serena Sinigaglia
Visto ad ATIR Teatro Ringhiera_ dal 21 ottobre al 1 novembre 2014

Un hammam, luogo per eccellenza di intimità e ritiro, è il buco della serratura attraverso cui lo spettatore può spiare storie e confessioni delle donne islamiche protagoniste di Alla mia età mi nascondo ancora per fumare, la nuova produzione di Serena Sinigaglia in scena all’ATIR Teatro Ringhiera di Milano. Uno spettacolo tutto al femminile, tratto dalla tragicommedia scritta da Rayahana: drammaturga, regista e attrice franco-algerina costretta ad assumere uno pseudonimo per proteggersi dalle persecuzioni e minacce di alcuni integralisti musulmani, ferocemente ostili alle sue idee progressiste in fatto di libertà e diritti delle donne.

A raccontare l’Algeri dei giorni nostri, ancora profondamente patriarcale e repressiva, nove figure di diversa età, condizione sociale e mentalità, accomunate però dall’esigenza di mettersi a nudo e tirare fuori i propri segreti, le paure e le speranze. L’hammam – felicemente evocato dalla scenografa Maria Spazzi attraverso una miriade di teli bianchi distesi, raggomitolati o appesi ad asciugare intorno alla vasca d’acqua centrale – diviene il porto franco di queste donne che possono per una volta parlare di matrimonio, divorzio, doveri filiali e religiosi, politica e persino di sesso, senza il timore di essere messe a tacere. Un nascondiglio apparentemente sicuro anche per la giovane sedicenne rimasta incinta, senza avere contratto matrimonio, e ricercata dai familiari che reclamano il diritto punirla per l’oltraggio compiuto.

Il pubblico in sala, immerso tra i vapori dell’hammam, il fumo di sigaretta a cui allude il titolo e l’eco di rumori di acque, è portato anch’esso a distendersi e a entrare a far parte di questo singolare microcosmo, fatto di pettegolezzi, riti condivisi (massaggi, cerette, pulizie del viso…), matrimoni combinati, confidenze, liti furenti e immediate riappacificazioni. Straordinaria la capacità (del resto già mostrata in altre prove) della Sinigaglia di ricreare l’universo femminile attraverso una coralità intensa e autentica, non lontana dal pathos e dalla sacralità dei cori della tragedia greca.

La consonanza di voci armoniche viene turbata, a tratti, da qualche gag di troppo o da qualche moina eccessivamente caricaturale, mentre alcuni personaggi paiono grotteschi (la madre dell’emigrato in Francia) o ingiustificatamente infantili (la Samia di Arianna Scommegna). A tenere a bada la clientela chiassosa e indisciplinata, che fischia, urla, danza e impreca, è la tenutaria dell’hammam, interpretata dall’equilibrata e intensa Marcela Serli: la donna diviene portavoce di un pensiero rivoluzionario e fuori dagli schemi, che si ribella al fanatismo dell’integralismo islamico senza cedere all’intransigenza.
Grandi presenti-assenti del dramma gli uomini, mai fisicamente rappresentati sul palcoscenico, ma continuamente evocati, sbeffeggiati e chiamati in causa: nelle tracce biologiche che imbrattano gli asciugamani del bagno turco, nei battiti violenti alle porte dell’hammam, nei racconti delle donne, martiri di violenze domestiche e abusi. Rischioso si fa il gioco delle parti, dove la donna è vittima indiscussa e l’uomo carnefice irrecuperabile. Uno scontro senza esclusione di colpi e possibilità di salvezza.

di Alessandra Cioccarelli