testo e regia di Renato Sarti in collaborazione con Bebo Storti
visto al Piccolo Teatro di Milano_9-19 maggio 2013

Con Shakespeare si può ridere. Ne è convinto Renato Sarti, che aveva già tentato la sfida nel 2010, quando aveva trasformato la compagnia di attori dilettanti del Sogno di una notte di mezza estate in una scalcinata impresa di pulizie tutta al femminile.
Anche in questo caso, l’operazione di distanziamento dall’originale shakespeariano è chiara fin dal titolo: siamo di fronte a un Otello Spritz, cioè a un classico riletto in chiave impertinente, leggera, contemporanea.

In scena, accanto allo stesso Sarti, c’è un incontenibile Bebo Storti; al duo – collaudato ne La nave fantasma, e poi in Io santo tu beato – si aggiunge anche Elena Novoselova, già vista al fianco di Sarti in Chicago Boys. Per raccontare l’intricata vicenda di gelosia e morte bastano Otello, Jago e Desdemona: il cast è all’osso e la scenografia essenziale per mancanza di risorse, chiariscono i due attori inaugurando così la dimensione continuamente metateatrale dello spettacolo. La riscrittura firmata da Sarti gioca sulle conoscenze pregresse del testo shakespeariano, e sul continuo scarto dal copione noto: Desdemona è la figlia di un potente boss russo che sa fare bene lo spritz e ha un cellulare con la suoneria di Tiziano Ferro; Otello è il presidente di colore della Regione Veneto, ma porta avanti politiche filo-leghiste per fare carriera a Roma; Jago, in uno sgargiante vestito da sera, pare il proprietario senza scrupoli di un qualche costoso night club.

La prima parte dello spettacolo scorre rapida tra improvvisazioni in mezzo agli spettatori, sketch riusciti, allusioni politiche e sessuali, un assortito mix di dialetti italiani, tempistiche comiche ben orchestrate. Il pubblico, sollecitato da luci, battute ad hoc, e da una comunicazione che lo include di continuo, ride e risponde con partecipazione.
Eppure, a ben guardare, suscitano una qualche sensazione di sgradevolezza questi Otello e Jago iper-contemporanei: debordanti, viscidi, ammiccanti, i due uomini richiamano e amplificano un modello di potere fin troppo noto. E proprio nella crescente bassezza dei due risiede la chiave dello spettacolo: a fare le spese del comportamento dei due “abietti shakespeariani” (così le note di regia) è Desdemona, simbolo di ogni donna maltrattata, vittima innocente con la quale il pubblico è chiamato a schierarsi. Le allarmanti percentuali di violenza sulle donne ci ricordano che non è superfluo soffermarsi ancora su questi temi. Ma qui lo spettacolo non arriva allo scarto atteso, e perde l’occasione di un più incisivo nodo drammatico: proprio mentre l’abuso si consuma vengono snocciolate le ultime battute e il pubblico prosegue a ridere. Viene in mente la faccia inumana di Bebo Storti in Mai morti, quando interpretava un irriducibile nostalgico della Decima Mas: ci sarebbe stato bisogno di un volto altrettanto ripugnante per restituire l’immagine di chi rende la fine di Desdemona fatto di cronaca e non di letteratura.
Ma c’è spazio per un capovolgimento delle sorti, almeno in Otello Spritz: Desdemona è salvata dalla sua stessa astuzia, mentre il concorde tribunale degli spettatori riserva ai due abietti una sorte ben peggiore. I greci, che di teatro se ne intendevano non poco, la chiamavano catarsi.

Maddalena Giovannelli