Aprire lo sguardo su orizzonti altri significa predisporsi al confronto, non chiudersi nel muto soliloquio ma cercare la relazione.
Ne è un esempio Bernhard Studlar, frequentemente coinvolto con la sua produzione teatrale in una pratica tanto inusuale quanto preziosa: la co-autoralità. È durante gli studi alla Universität der Künste di Berlino che Studlar incontra Andreas Sauter, classe 1974, scrittore e regista di teatro, radiodrammi e film, originario di Zurigo e attualmente residente a Berlino. Già autore affermato, nel 2007 Sauter pubblica, insieme ai colleghi Rolf Kemnitzer e Katharina Schlender, un manifesto programmatico in dieci punti che fissano un “augurio” per il futuro del teatro d’autore, dal titolo decisamente eloquente: Uns pflegen – heisst euch pflegen; 10 Wünsche für ein künftiges Autorentheater, che tradotto suona così: Prendersi cura di noi – è prendersi cura di voi; 10 desideri per un futuro teatro d’autore.
Insofferenti ai metodi di produzione dei teatri tedeschi, che, secondo i firmatari, incentivano una folle corsa verso la quantità di opere messe in scena a detrimento di un’attenzione alla loro stessa qualità, Sauter e compagni lanciano una provocazione che è prima di tutto una riflessione gettata sul proprio stesso ruolo: «come possono le nostre dichiarazioni in quanto autori essere costruttive? Dove si sono nascosti l’efficacia e la necessità del teatro contemporaneo?», si legge nel testo del manifesto. Tra i punti, che sono insieme augurio e denuncia, proposta e reclamo (magistrale il punto 8, che propone una tassazione sulla messa in scena dei classici senza più copyright per andare a formare un fondo per il dramma contemporaneo), quello su cui qui ci interessa soffermarci è il quarto:
Collaborazione continua con gli autori! Più case degli autori! Eventi di drammaturgia teatrale che non abbiano limiti di età e che generino conseguenze, ovvero non storie di una notte con gli autori ma un modo per coltivare le relazioni.
Quello di coltivare le relazioni appare così come un Leitmotiv nell’attività e di Andreas Sauter e del nostro Bernhard: Studlar già dal 2005 aveva dato vita a quel crocevia del Wiener Wortstätten; Sauter nel 2008 creò un tavolo di lavoro in cui autori e altre personalità teatrali potessero confrontarsi sui punti lanciati dal manifesto, che sfociò poi in un festival di drammaturgia contemporanea, il DramaTischTage. A margine di queste riflessioni è interessante notare che, tra i firmatari del manifesto (i cosiddetti BattleAutoren) appare certamente «Bernhard Studlar, Autor, Wien», ma figura anche il duo come entità a sé stante: «Sauter & Studlar, Autoren, Berlin/Wien». La collaborazione tra i due autori ha in effetti un lungo trascorso alle spalle. Iniziata nel 1998, ha all’attivo una decina di titoli andati in scena soprattutto tra Germania, Austria e Svizzera, ma tradotti in diverse lingue. Insieme, sono riusciti a dare vita a un sodalizio che ricorda alcune pratiche di scambio intellettuale che, nei paesi germanofoni, hanno talvolta dato vita ad interi movimenti letterari: dai carteggi tra Wilhelm Heinrich Wackenroder e Ludwig Tieck, che portarono alla nascita del primo romanticismo tedesco, ai circoli letterari filo-dadaisti del Wiener Gruppe, che negli anni ’50 del Novecento diede un impulso rinnovatore alla poesia austriaca.
Tra i primi testi scritti insieme da Studlar e Sauter figura un testo che ha la particolarità di essere inizialmente destinato al teatro e poi riadattato per la radio, dal titolo A. è un’altra (A. ist eine Andere). Entrambe le versioni andranno incontro al successo: quella teatrale vince nel 2000 il Kleist Prize for Young Dramatists mentre quella radiofonica il Basel Radio Play Prize nel 2004. Come si legge nella lista dei personaggi, A. è una giovane ragazza sposata con Gerd, la quale non appare direttamente per gran parte del testo. Nell’incipit troviamo una lettera d’amore, o meglio l’inizio di una lettera d’amore non terminata, che A. scrive a Gerd. Ma l’atmosfera cambia repentinamente quando gli altri personaggi (Gerd, il suo amico Herwig detto anche Bongo, Nina, la migliore amica di A., e Joseph Pheres, il padre di A.) descrivono al passato la scena di un funerale: la scelta dell’urna alle pompe funebri, la discussione sui fiori, la cerimonia di spargimento delle ceneri in una giornata meteorologicamente non fortunata. Si tratta del funerale di A.
Le voci dei diversi personaggi si susseguono le une alle altre nella narrazione del fatto già compiuto, in un avvicendamento di descrizioni concise dei fatti e di impressioni personali sull’accaduto. Da questo primo movimento corale si passa a delle vere e proprie “soggettive”, che svelano altri punti di vista della stessa vicenda narrata prima all’unisono. C’è quella di Nina, la migliore amica di A., che diceva di non potersi trattenere molto al funerale perché doveva obbligatoriamente presenziare a un corso: scopriamo invece che aveva fretta perché quella stessa sera c’era il compleanno di suo fratello, e non voleva tardare. Gerd e il suo amico Herwig ricordano invece il primo viaggio fatto in macchina sulle colline del Chianti: è lì che Gerd e A. si erano conosciuti. Il testo procede per salti temporali, in un andirivieni di situazioni a volte intrecciate tra loro, a volte slegate, ma sempre funzionali a tenere alta l’attenzione del lettore-spettatore, immergendolo in una serie di dettagli che disegnano in modo più definito il contesto misterioso del dramma.
Attraverso questa narrazione polifonica sempre declinata al passato– scopriamo come A. fosse sparita in un giorno qualunque, come Gerd fosse sicuro che fosse successo qualcosa di brutto e come gli altri cercassero di rassicurarlo. Poi l’arrivo della polizia, ma un nuovo salto temporale ci porta in un altro momento passato: e qui, con tutta naturalezza, A. compare come un personaggio fra gli altri, ricordando innanzitutto il periodo in cui conviveva con la sua amica Nina, poi la prima notte passata con Gerd. Altro stacco e ci troviamo al momento della notizia:
Da A. è un’altra [traduzione dal francese a cura di chi scrive]:
Pheres – Era Gerd. L’ho immaginato subito. Non c’è nessun altro che potrebbe chiamarmi così tardi.
Gerd – È morta.
Pheres – E ha riattaccato.
Gerd – È morta. La polizia ha ritrovato prima la macchina. E poi lei. Poco più in là. Completamente carbonizzata. Si è data fuoco da sola.
Nina – Sembrava che stesse recitando. Non riuscivo a parlare. A un certo punto ho sentito la voce di Bongo. “Vuoi passare da me?”. Io non riuscivo. Ancora oggi non ho alcun ricordo dei dieci minuti che seguirono quella chiamata. Le lacrime sono cominciate a scendere mentre ero in bagno. Insieme alla rabbia. L’ho sgridata. “Per quale motivo? Perché? È un altro dei tuoi merdosi colpi di testa”.
Silenzio.
La situazione è così incomprensibile che non consente né shock né intorpidimento. Con uno spostamento quasi inosservato tra passaggi narrati e dialoghi interrotti, i personaggi cercano faticosamente di affrontare quel che resta della vita dopo una perdita così grande. Il padre Pheres si concentra sempre di più sul suo negozio di bonsai; Nina indossa i vestiti dell’amica scomparsa perché Gerd ha insistito che lei li prendesse, voleva sbarazzarsene subito; Herwig/Bongo pensa all’amica quando va a fare la spesa, perché si ricorda che A. prendeva sempre i prodotti in promozione. Ognuno la ritrova nelle piccole cose quotidiane, ognuno la ricorda come può. Gerd prova a dirsi che in fondo va tutto bene, ma non riesce più a fare nulla senza pensare a lei. E comincia a credere che le cose possano essere andate diversamente. Comincia a dubitare che A. sia morta davvero. Perché avrebbe dovuto suicidarsi? Quella stessa mattina era piena di vita quando si erano salutati prima di andare al lavoro. E le lettere che avevano ritrovato nella sua macchina? Erano lettere d’amore che lei gli stava scrivendo. Non era possibile: quel corpo ritrovato carbonizzato poteva essere di chiunque. Poteva non essere lei.
Storia d’amore, thriller poliziesco, a tratti commedia. Tutti questi toni si mescolano nel testo di Sauter e Studlar, che per raccontare una vicenda di amore e morte hanno voluto concentrarsi sulle piccole cose, sul quotidiano inosservato, su ciò che è poco spettacolare. Pensieri interiori, vecchie abitudini, modi per passare il tempo e dialoghi tra amici costruiscono A. è un’altra come un sofisticato puzzle di momenti tragici e comici. Ma che fine ha fatto A.? È lei stessa a svelarlo, anche se in parte, in un lungo monologo finale:
Da A. è un’altra [traduzione dal francese a cura di chi scrive]:
A. – […] Non c’era più nient’altro, solo amore. Nel parcheggio vuoto del Bricocenter. Le lacrime mi scorrevano sul viso.
Caro Gerd.
Oggi ho capito che non ti amerò mai più di quanto ti amo adesso.
Poi sono partita. Avevo male al cuore dopo tutti quei caffè.
Ad ogni incrocio facevo in modo di prendere la direzione sbagliata. Alla radio trasmettevano il programma “cuori in pena”.
Solo problemi d’amore. E dei pezzi lenti negli intervalli. Problemi che io non avevo.
Ho preso un tratto di autostrada. A tutta velocità. Niente poliziotti nei paraggi. Nessuno che potesse fermarmi. Una sensazione di felicità. Faceva già notte, le undici o giù di lì. La radio dava i risultati della partita: Uruguay Belgio, 3-3. È stato in quel momento che ho visto il fuoco.
Un getto di fiamme. Nel mezzo di un campo. Da dove veniva?
Intorno tutto restava scuro. Mi sono fermata. Il fuoco continuava. Come una colonna. Poi si è come rotta bruscamente.
La strada si fermava cinquanta metri prima del posto da cui provenivano le fiamme. Sono uscita dalla macchina. Non c’era alcun rumore, soltanto il crepitio del fuoco, e l’autostrada in lontananza. Ma potevo sentire l’odore. Sempre più distinto man mano che mi avvicinavo.
Puzzava, la carne bruciata. E ho capito tutto.
Una copertura.
Ho corso. Era già troppo tardi.
Sono ritornata. Più vicino. Molto vicino.
Mi sono sentita male. Ho vomitato più volte.
E poi sono scappata. Non importa dove ma lontano. Ho continuato così per buona parte della notte.
Non mi ricordo più quand’è che mi sono addormentata.
Silenzio.
Il finale aperto, lacerante nella sua ambiguità, lascia intendere che il centro di A. è un’altra non sia tanto la comprensione piena di quel che sia davvero accaduto ad A., quanto il tentativo di accettare quella sospensione, quella parte di incomprensione che necessariamente viviamo nella relazione con l’altro. Il ruotare dei pensieri e dei ricordi dei vari personaggi attorno a una stessa persona, a cui tutti sono legati in modo diverso, restituisce perfettamente l’impossibilità di avere una visione unica e univoca su una storia, un rapporto, una persona. Ed è per rispecchiare in modo chiaro e trasparente questo aspetto che i due drammaturghi hanno scelto di narrare tutta la vicenda attraverso più voci, voci che continuamente si accavallano, s’interrompono, descrivono le une le azioni delle altre, si raccontano da una prospettiva interna ed esterna insieme, si completano, si contraddicono. Come succede quando si è in più di uno, quando ci si pone nella relazione e se ne accettano le dinamiche. Quando si parla e ci si confronta, ci si legge e rilegge, ci si mette in discussione, si riflette, si cerca un altro punto di vista. Come quando si scrive un testo a quattro mani.
Francesca Di Fazio
Foto di copertina: ©Doris Geml
GLOSSARIO AUSTRIACO
Coltivare le relazioni [Beziehungspflege]
La lingua tedesca, si sa, può combinare elementi diversi della sintassi per creare un’unica parola che esprima in modo più esatto il concetto che si vuole esprimere. È il caso del termine usato da Sauter nel manifesto per il futuro del teatro d’autore, firmato anche da Studlar. Beziehung è il sostantivo che esprime la relazione, il rapporto: talvolta si può tradurre anche con il termine “coppia”. Pflege è anch’esso sostantivo. Esprime la cura, la tutela, il coltivare. «Prendersi cura di noi – è prendersi cura di voi».
Il testo, grazie al progetto Fabulamundi, può essere richiesto gratuitamente in francese con una mail a [email protected].