“Quello che ci aspetta è un gioco. Non c’è giusto o sbagliato, nessun giudizio. Le nostre paure, la nostra immaginazione, la nostra individualità: la danza è una celebrazione di tutto questo”. Carol Prieur, danzatrice di Marie Chouinard, apre la lezione accogliendo i ragazzi con un largo sorriso. E subito i danzatori non ci sono più: è un cerchio di alberi a cui sta parlando, alberi con lunghissime radici che corrono attraverso la terra. Esplorano e bevono (oltre alle sue parole) tutte le informazioni annidiate nel terreno, le succhiano e poi le riversano al suolo. Sono piante curiose e fantastiche, cui cresce una coda, una terza gamba, poi piume di pavoni tese a cercare il contatto con la terra che le sostiene. E mentre tutti i punti del corpo si muovono in relazione con lo spazio circostante, i palmi delle mani dei giovani danzatori si trasformano in occhi protesi come le antenne di tante chiocciole e dal cuore, nei petti, si spalanca la luce di un faro che scruta la notte. Finché i bulbi oculari di ognuno cascano all’interno del cranio e scavano tunnel nell’oscurità della testa: “Seguiteli! Lasciatevi guidare dentro, fuori e poi dentro di voi!” invita Carol. Raggiunta questa “multiplicity of consciousness”, è ora possibile spostarsi e viaggiare: i corpi si fanno mappe che s’incontrano e parlano, il fiato è come un braccio, tanto concreto, siamo fiamme scoppiettanti, poi un fluido sciolto e ghiacciato. Carol grida a tutti entusiasta “very beautiful, very nice! That’s it!”.
Un sorso d’acqua, e si riparte. Ora agli allievi attende un esercizio la cui complessità consiste nell’avere due menti: a gruppi di tre, dovranno continuare a cercare il contatto con lo spazio fendendolo e scolpendolo ciascuno nel proprio “spot”, e contemporaneamente mantenere il dialogo con i compagni distribuiti nella sala, sempre attenti a ricevere e restituire ondate di energia in movimento. Carol tranquillizza: “Abbiate fiducia nel vostro corpo e nel vostro istinto, pensate: ‘quello che sto facendo è esattamente quello che devo fare in questo momento’”. Assistiamo così a trii di ragazzi che si scatenano e inventano espressioni corporee, curiosi di scoprire sempre nuove “porte” per lo scambio di energia: “il ginocchio, il sedere, il dietro della testa!” suggerisce Carol che li insegue e li sostiene. Ma è la travolgente fine della lezione il momento che più suscita negli uditori, che assistono impotenti a questo giostrare di divertimento e azione, un moto d’invidia. Negli ultimi istanti gli allievi prendono la rincorsa e si tuffano in una grande pozza d’acqua, spuntata a un cenno della maestra al centro della sala prove: vi sguazzano e rotolano, garriscono, piroettano, si trascinano l’un l’altro fra gli schizzi, si battono le gambe come gorilla, gridano e ridono sguaiati come scimmie urlatrici. Uscendo, scrollandosi l’acqua di dosso, si abbracciano e si scambiano sorrisi sorpresi e ammirati: “finalmente del vero movimento, mi mancava il sudore!”.

Nicola Fogazzi

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