«Cos’è la tecnica secondo voi?»: questa la prima domanda che Paola Lattanzi rivolge ai giovani allievi del Centro Aida, suggerendo di utilizzarla come strumento per svelare le proprie peculiarità e capacità espressive, e non come una norma che omologa e nasconde. Con questo spunto di riflessione, si apre la masterclass tenuta dalla grande interprete e coreografa, che tramite la pratica e le parole racconta l’esperienza internazionale e gli incontri con che hanno caratterizzato il percorso.
La lezione è infatti densa di suggestioni e informazioni teoriche che arricchiscono e rendono più consapevole il lavoro sul corpo. Ci si interroga su cosa sia la presenza scenica e su quanto il corpo del performer possa essere forte ed espressivo sul palco. «C’è bisogno di empatia con il pubblico, è necessario dare alle cose il tempo di affermarsi ed essere comprese» dice Paola Lattanzi, che sottolinea così la responsabilità dell’interprete di entrare in relazione e di comunicare con gli spettatori. Non casualmente viene citato Eugenio Barba, fondatore dell’Odin Teatret: il maestro auspicava la nascita di una nuova consapevolezza nell’attore-danzatore, che avrebbe così dovuto riversare tutto sé stesso e le proprie energie in direzione dello spettatore.
È il momento di sentire il corpo ed esplorarlo: Lattanzi invita i giovani danzatori a chiudere gli occhi e ad ascoltare il proprio respiro, i piccoli movimenti impercettibili del corpo, assecondandoli pian piano. I partecipanti sono così guidati nella realizzazione della small dance, l’esercizio ideato da Steve Paxton alla base della contact improvisation, una pratica di improvvisazione che si sviluppa a partire dai punti di contatto tra due o più danzatori. Questa condizione di consapevolezza e sensibilità verso ogni parte del corpo è il terreno fertile che l’artista prepara per poter proporre gli esercizi successivi, volti a esplorare le diverse qualità di movimento di un corpo. La coreografa dichiara immediatamente il riferimento al body-mind centering, una pratica che analizza e rieduca i movimenti del corpo avendo come fondamento teorico non solo l’anatomia e la fisiologia, ma anche l’embriologia, la psicologia e lo studio dello sviluppo senso-motorio in età evolutiva. È così che Paola Lattanzi introduce una breve spiegazione, a tratti prettamente scientifica, sul liquido sinoviale. I partecipanti sono invitati a muoversi assecondando il moto di questo fluido multidirezionale, libero di scorrere attraverso le articolazioni, e dunque a esplorare tutte le direzioni che le giunture possono prendere: «non siamo un blocco unico, ma siamo costituiti da tante parti che insieme si connettono e creano un’armonia». Pian piano per ciascuno dei partecipanti diventa sempre più personale e intima la ricerca di una disarticolazione del corpo, sperimentata attraverso la fluidità dei movimenti: è come se quei danzatori, con una forte impostazione tecnica, cominciassero infine a liberarsi, scoprendo nuove possibilità di espressione. L’esplorazione continua quando Paola Lattanzi li conduce verso una nuova qualità di movimento, la cui origine è da trovarsi nell’immagine della linfa, che scorrendo parallela al sangue è responsabile della contrazione e del rilascio dei muscoli. I movimenti che prima erano fluidi adesso sono frammentati, spasmodici, spigolosi nell’alternanza di contrazioni e distensioni muscolari.
L’invito è quello di attivare un pensiero cinetico per esplorare le infinite possibilità del proprio corpo. Dopo gli esercizi, giunge il momento di utilizzarli come elementi per creare una danza personale. «Quale musicalità esprime il tuo corpo?»: ancora un’altra domanda rivolta ai danzatori, questa volta per stimolarli a utilizzare le pause tra i movimenti come fossero la punteggiatura di un testo. Le pause sono uno strumento per dialogare con il pubblico, creando delle aspettative, sorprendendolo e lasciandogli il tempo di guardare e comprendere ciò che accade in scena.
Durante la masterclass è stato evidente come per Paola Lattanzi la teoria e la pratica si intreccino e si nutrano a vicenda: un grande dono trasmesso ai giovani danzatori, usciti dalla sala sorridenti e ancora incuriositi.
Chiara di Guardo
foto di copertina: Sara Meliti
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview