«Onestamente quando mi sono alzato ho avuto i brividi…non ho mai sentito il corpo in quel modo»: queste le parole con cui uno dei partecipanti alla masterclass di Roberto Zappalà tenta di restituire quanto sperimentato durante la pratica appena conclusa.

Nelle due ore precedenti, infatti, il coreografo ha dato ai giovani allievi del Centro ArteMente un assaggio della sua ricerca sul movimento, coinvolgendoli in prima persona in alcuni esercizi performativi. In un primo momento, chiede loro di mettersi in cerchio e di sdraiarsi a occhi chiusi con le gambe divaricate, i palmi rivolti al soffitto, le caviglie e i piedi rilassati. Muovendosi tra i ragazzi distesi, li invita poi a stabilizzare il respiro e a cercare il proprio centro: una volta trovato, si può superarlo e rincorrere ogni angolo del proprio corpo, ogni sua giuntura. Si comincia a muovere il collo, senza coinvolgere altre articolazioni; poi è la volta delle spalle, in un passaggio da una zona all’altra fluido, tale da connettere le diverse parti come un tutto organico.

Procedendo così, si percorre tutto il corpo, destrutturandolo giuntura per giuntura, come i linguisti fanno con le parole nella frase. «È un lavoro di “esegesi”», spiega Zappalà, «noi siamo convinti di conoscere il nostro corpo, ma non è vero. Per comprendere davvero questo mondo, è necessario attraversarlo ed esplorarlo interamente e a piccoli passi». Non si tratta di un esercizio ginnico, né di una coreografia, ma di un momento di profonda ricerca su di sé, in cui, ponendosi in ascolto del proprio corpo, si impara a sentirlo, ad amarlo, a odiarlo. Per questo, ricorda il coreografo, è fondamentale non guardarsi mai allo specchio, dimenticando la percezione dell’occhio esterno su di sé, e cercando di eliminare quel senso di pudore, tanto naturale quanto nocivo alla ricerca di un movimento davvero autentico.

Ogni partecipante viene invitato a scoprire nel proprio corpo un linguaggio chiaro e preciso e a disegnarlo con i movimenti di gomiti e ginocchia, quasi fossero matite colorate con cui tracciare figure nell’aria. Spesso il coreografo guida gli allievi proponendo loro immagini, e infine consiglia, corregge, compone: «muovete il bacino, solo il bacino, come se…Portaste al guinzaglio il cane! Inventate le vostre storie». Ed è proprio questa libertà di scelta e di scoperta del sé che sta alla base di MODEM, il “movimento democratico” ideato da Zappalà: «Il mio linguaggio è “democratico” perché buona parte del lavoro la fanno i danzatori: io dò loro gli strumenti e loro trovano la propria dimensione. Poi certo, come ogni democrazia, anche questa è imperfetta: alla fine l’ultima decisione spetta a me. Il danzatore è uno strumento al servizio del coreografo o del danzare in generale». E tuttavia tale linguaggio è “democratico” anche perché può essere praticato da persone di ogni età e corporatura fisica, rivelandosi tanto più efficace, quanto più riesce a valorizzare le fragilità che nascono dall’imperfezione.

Non è un caso, del resto, che al ragazzo che timidamente ha appena alzato la mano e raccontato le proprie emozioni, il coreografo risponda: «in effetti, ti confesso che le sensazioni che hai provato sono le stesse che mi hanno restituito molti amatori, che si approcciano per la prima volta alla danza attraverso il mio linguaggio».

Allegra d’Imporzano Giulia Troncatti


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