Quindici giovani che si riscaldano, posizionati ordinatamente di fronte a Salvo Lombardo: sembrerebbe questa la disposizione spaziale più naturale per dare inizio a una masterclass; eppure la prima cosa che l’artista chiede ai danzatori è di disattendere le aspettative, invitandoli a formare, insieme a lui, un cerchio.

È proprio a partire da questo semplicissimo cambio di prospettiva che Lombardo introduce i partecipanti nell’universo di riflessione e creazione che ruota attorno ad AMOЯ, in scena al teatro Elfo Puccini il 28 e il 29 settembre.

Il lavoro dell’artista si focalizza infatti sul concetto di potere, che coinvolge inevitabilmente anche la dimensione fisica, corporea: rinunciando alla disposizione frontale, che sottende un chiaro orientamento gerarchico tra i due poli, il coreografo sollecita i partecipanti ad analizzare e a problematizzare le dinamiche di potere implicite in ogni relazione sociale.

La riflessione si approfondisce, poi, nel corso della lezione, e non si configura affatto come una speculazione astratta; al contrario: l’artista esorta i danzatori a utilizzare il proprio corpo come strumento d’indagine, con un esercizio ideato sulla base di un passo del saggio Massa e potere, di Elias Canetti:

«La massa statica è compatta; un movimento veramente libero non le sarebbe affatto possibile. Il suo movimento ha qualcosa di passivo: la massa statica attende.»

I concetti di massa e potere risultano, insomma, inestricabilmente connessi; in altre parole, i corpi sono legati tra loro da un’incessante dinamica di potere. E così Salvo Lombardo invita i danzatori ad esplorare questa fase del processo creativo, chiedendo loro di farsi fecondare dalle parole lette per poter guadagnare un’intenzionalità più lucida e puntuale.

«I piedi non hanno scampo, le braccia sono serrate, restano libere solo le teste, per vedere e per sentire; i corpi si passano impulsi direttamente l’un l’altro. Tutt’intorno si partecipa simultaneamente col proprio corpo a diversi uomini. Si sa che si tratta di più uomini; ma poiché essi dipendono anche così strettamente gli uni dagli altri, si sentono una cosa sola.»

I corpi dei danzatori si avvicinano e si fondono creando un’unità percettiva, un organismo in cui, però, è visibile il pullulare delle singole individualità, che però pensano attraverso una mente e un corpo collettivo. Il singolo, costantemente in ascolto del gruppo e delle sue configurazioni, può scegliere di tendere all’azione oppure all’immobilità, contribuendo in entrambi i casi alla trasformazione: «decidere di agire è potente tanto quanto decidere di non farlo». Pian piano, la tensione accumulata dalla staticità della massa — una sostanziale immobilità pungolata di piccoli movimenti — spinge i danzatori ad aumentare l’utilizzo del proprio spazio d’esistenza.

«Per molto tempo non accade nulla, ma la voglia di agire si accumula e cresce per scoppiare finalmente in modo tanto più violento.»

E così la massa, non più immobile ma ancora in qualche modo statica, si allarga sempre più nello spazio, e quanto più si espande tanto più aumenta la tensione tra i corpi, in un’invisibile ma percepibile lotta tra compattezza e disgregazione. Alcuni danzatori, rapidissimi, attraversano la massa e sembrano quasi sul punto di strapparla; altri compensano con la loro immobilità le forze centrifughe. È proprio in questa dialettica incessante, che ridisegna continuamente lo spazio e le relazioni di potere, il fulcro dell’esercizio. La masterclass si conclude nel modo che sembra più congeniale al metodo di lavoro di Salvo Lombardo: con uno scambio di idee e di parole, con la condivisione, l’uno di fronte all’altro, di un processo creativo.

Andrea Bonzi e Shahrzad M.


Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview