È una serie di provocazioni quelle che lancia agli studenti dell’Università degli Studi di Milano, Stefano Tomassini che per un giorno abbandona la sua cattedra alla Iuav di Venezia per arrivare nell’ateneo milanese . «Avete mai visto spettacoli di danza contemporanea? Siete mai stati alla Scala?» – ci incalza – «E allo stadio invece?». Domande che mettono a nudo il problema della scarsa partecipazione dei giovani agli eventi culturali. Ma non si tratta di polemica sterile: la presentazione di Tomassini sui tre coreografi Virgilio Sieni, Simona Bertozzi e Cristina Rizzo prende forma proprio dai sondaggi fatti in classe. È infatti necessario assumere un “atteggiamento etnologico” nei confronti dei beni culturali, lavorare sul campo per essere testimoni del tempo in cui viviamo e “partecipare a una performance” è un atto politico, di appropriazione di uno spazio artistico, così come la performance stessa è messinscena di un pensiero politico preciso sul nostro presente. Il “sermone” su arte-politica (definito così da Tomassini stesso) lo vediamo incarnato nei tre maestri protagonisti di questa edizione di MilanOltre.
Nella scelta, ad esempio, di Virgilio Sieni di lavorare con Giorgio Agamben, filosofo, portatore del concetto di “nuda vita”, secondo il quale un corpo ha valore per la sua “semplice esistenza biologica”, senza che esso sia interiorizzato o contenitore di un’anima. Così com’è politico sempre in Sieni portare in scena Lucrezio, indagando attraverso il De rerum natura i rapporti tra i corpi e le cose: quando entrano in scena quattro performer uomini sorreggendo una Venere sovra-terrena non c’è alcuna subordinazione tra i corpi dei due sessi, i loro movimenti dialogano. Non c’è uguaglianza ma c’è equivalenza, così come, in fondo, c’è equivalenza tra i corpi umani e le cose stesse.
Anche la Joie de Vivre di Bertozzi è possibile solo quando il corpo può essere ciò che è come corpo, cioè senza essere definito dalle nostre specificità. La danza diventa allora istanza di liberazione dalle forme con cui la società ci pensa: è un atto politico capace di disintegrare cosa pensiamo di dover essere. Anche nella performance di Rizzo il discorso è riproposto. Con Ultras Sleeping Dancing la coreografa propone un lavoro sulle condizioni limite in cui l’uomo si scontra con la propria tragica fragilità. Rizzo sceglie di far uscire del sangue dalla bocca dei danzatori o di indurli al pianto con degli stick alla canfora per liberarci da una dittatura dell’interiorità e dare alla percezione un valore assoluto: la sua è una tragedia senza tragedia! E davanti a queste scelte sceniche, a tratti stravaganti, la protesta del “non si capisce niente” non è ammissibile, avverte Tommasini: il punto infatti non è la comprensione dello spettacolo ma la possibilità percettiva del pubblico, la sua ricezione. «A teatro si vive un’esperienza, impagabile, non riducibile a dinamiche monetarie: un’esperienza per tutti!» Perchè, in fondo, anche il pensiero di un coreografo insegna all’uomo chi è, com’è fatto e per che cosa vive.
Rebecca Grassi e Giulia Villa
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview