La masterclass di Lola Arias a Zona k è appena terminata e, a caldo, si sa, è difficile riuscire a mettere a fuoco le cose. Eppure la sensazione è che mettere in ordine non sarà facile nemmeno dopo…
Il perché è presto detto. Il lavoro della Arias è stereografico: sparge le sue innumerevoli suggestioni in ogni punto dello spazio in modi tanto imprevedibili quanto pervasivi. È un lavoro che si presta maggiormente a essere esperito che glossato. Ma andiamo con ordine: la Arias, chiamata a introdurre il suo spettacolo Veterans, sale in cattedra in maniera del tutto anomala, infrangendo da subito molte regole oratorie, in continuità con il principio di “disseminazione” che caratterizza la sua opera. La sua è una vera lezione? No, non proprio: laddove ci si aspetta una spiegazione, la Arias tace lasciando alle immagini il compito di comunicare più delle parole. Eccola allora portarci come esempio alcuni materiali raccolti sul suo sito. Sono solo frammenti, eppure dietro di essi, la vastità e la varietà delle ispirazioni (teatrali, video, musicali, cinematografiche, letterarie) appare già mastodontica.
E allora, la prima domanda che viene in mente è come si può definire un’artista del genere? “Soy escritora, directora de teatro, algo músical y algo de artes visuales… pero la lista parece medio imensa y perniciosa quando in realidad quizá decír artista” ha dichiarato una volta lei stessa a La Nación. Con noi usa due timide definizioni: “scrittrice di finzione”, prima; “regista di teatro”, poi.
E forse è proprio “l’intersezione” ciò che meglio la rappresenta, lo spazio che si trova tra la scrittrice e la regista. L’Arias è scarto, evoluzione, è scelta, quella per esempio di avere a che fare con persone vere al posto che con personaggi finzionali. Tutto questo senza però mai dimenticare il meccanismo del teatro, obbligatoriamente antimimentico, per cui i racconti dell’artista argentina sono volutamente interpretati con un linguaggio non realistico, nonostante trattino spesso storie vere.
Questi principi cardine valgono almeno per due opere “biografiche” che precedono Veterans: Mucamas e The art of Arriving, che la Arias ci mostra a più riprese durante l’incontro. L’intento è quello di creare un’arte della realtà attraverso i dispositivi della finzione, senza che l’una o l’altra cosa venga scalzata. Sullo stesso modello, anche Veterans si basa su biografie trasfigurate, che si avvalgono di qualche trucco “teatrale” inverosimile, ma che possiedono, proprio per questo, quel surplus di verità che un documentario in presa diretta non potrebbe mai restituire. Nei lavori dell’Arias “persone vere” imparano a tutti gli effetti a “fare finta”, e diventano attori di se stessi, dei se stessi del proprio passato. Essere altro da sé nei propri panni, ricostruire ciò che è stato, senza l’utilizzo di controfigure più giovani (diversamente da quanto avviene al cinema coi flashback). E ancora: non dare l’illusione di un’ambientazione verosimile, ma costruirne piuttosto una simbolica.
Si tratta di un’operazione di vera e propria ricreazione artistica della vita, una rimodulazione della rappresentazione del ricordo, che si colloca prepotentemente tra finzione e realtà, e volutamente le confonde, ma in modo molto attuale. Tutto ciò – insiste Lola Arias – richiede un “deciso intervento di regia e scrittura, e soprattutto, molto, moltissimo tempo”.
Tempo che, una volta di più nel cortocircuito tra arte e vita, diventa occasione di esperienze e relazioni, ancor prima che di produzioni spettacolari. Ecco allora che alcuni veterani argentini e inglesi si trovano riuniti insieme, con l’unico scopo di raccontare le loro storie, la propria versione dei fatti, e allestire, solo in un secondo momento, uno spettacolo sulla guerra della Falkland (Minefield).
Il lavoro dell’Arias, così come la sua masterclass, è come lanciare un sasso nel vuoto, generare un impulso il cui riverbero non si può determinare: durerà certamente per il tempo della performance e, una volta finita, continuerà a misurare la profondità e il significato di un incontro e di un’idea, a informare e interessare chi ha voluto vedere e ascoltare, per alimentare una vibrazione destinata a protrarsi.
Lidia Melegoni
Questo contenuto è parte del progetto Postcards from Theatre