visto al Teatro Franco Parenti di Milano _ 7-8 giugno 2013

Dopo una stagione che ha visto alternarsi firme di richiamo per il più rappresentato classico shakespeariano (Nekrosius, Filippo Timi, Danio Manfredini), a esplorare Amleto sono stati invitati gli studenti delle scuole superiori. Undici licei (di Milano, Treviglio, Lovere, Saronno e Lodi) hanno risposto alla chiamata del Teatro Franco Parenti che, nell’ambito dei festeggiamenti per i suoi 40 anni di attività, ha lanciato anche il progetto “A scuola con Amleto”, a cura di Irene La Scala. Il ‘pacchetto’ (partner cofinanziatore ENI) prevedeva un percorso didattico con approfondimenti letterari sull’opera di Shakespeare (con Margaret Rose, docente di Storia del Teatro inglese all’Università degli Studi Milano) e la visione di almeno due spettacoli del ricco cartellone di Amleto 2012-2013. Infine, a coronamento del percorso shakespeariano, il saggio finale: ogni scuola ha scelto di rappresentare un atto e, nelle serate del 7-8 giugno 2013, il mosaico dell’intera opera si è ricomposto sul palcoscenico del Parenti (5 atti venerdì; 5 atti e 1 epilogo sabato), con risultati non privi di interesse.

Chi sono questi attori in erba? Sono gruppi di età e classi diverse che hanno frequentato per tutto l’anno i laboratori teatrali, uniti dalla stessa passione; oppure un’unica classe “sperimentale”, venticinque studenti tutti coinvolti, ognuno con il suo ruolo.
La prova non era semplice. Anzitutto, occorreva rispettare il modulo della staffetta. Finita la performance, il sipario si chiude, si deve sgombrare la scena e lasciare il campo alla prossima scuola. E poi gli spazi: non più il nido della sala-teatro o aula magna del Liceo, davanti a compagni e genitori sempre plaudenti, ma un teatro con camerini, quinte, un enorme palco, con tecnici professionisti a disposizione…
Mentre le luci in sala stanno per spegnersi, sentiamo ancora rumori di preparativi che fervono: scalpiccii, richiami, gridolini di paura, forse un coro scaramantico. Poi il sipario si apre e, come sempre quando si tratta di creatività, i ragazzi ci sanno stupire. Affrontano con scioltezza monologhi e brani in inglese, cantano e ballano. E se qualcosa non funziona (un oggetto non è nella posizione prevista, il compagno salta una battuta), sanno reagire rapidamente: così Amleto ha un improvviso calo di voce e si fa portare in scena una bottiglietta d’acqua da un servitore; la regina inciampa nel vestito lungo e gestisce la caduta come sintomo della sua angoscia per il figlio Amleto…
Abbiamo visto un Amleto fanciullo giocare con un teschio oppure, ribelle dai capelli blu, affrontare il tema della pazzia, o ancora un Amleto-ragazza bloccato su un tappeto a simboleggiare la sua impossibilità di agire. Ofelia ha danzato come farfalla sulle note della sua follia, oppure si è rotolata a terra alternando il delirio a sprazzi di lucidità. Polonio è forse il personaggio che i ragazzi hanno sentito più distante dalla loro sensibilità, proiettando su di lui le incomprensioni dello scarto generazionale: il consigliere è diventato un viscido vecchio, un saccente tronfio e compiaciuto o un trombone che impone i suoi divieti d’autorità.

Qualche volta la freschezza, la spontaneità e l’energia dei giovani attori è parsa ingabbiata da scelte registiche troppo paludate, fra velluti e merletti e sfoghi retorici un po’ ‘inamidati’. Alcune traduzioni sapevano di antiquato: un “vorrei venir teco” pronunciato da un sedicenne non può che sembrarci poco credibile. Come è più agile e irriverente invece Orazio quando rimprovera i compagni con un: “cosa vi siete ‘calati’ per vedere un fantasma?”, e Amleto che esultando per la rinnovata energia di vendetta esclama “Oppa, Hamlet style” (parodia del tormentone-Gangnam Style del rapper coreano PSY). L’Amleto in blue-jeans diventa scattante, il Claudio dark è ancor più assetato di sesso e potere, Rosencrantz e Guildestern in completo da Blues Brothers sono due marionette caricaturali.

A scuola, un lavoro su Amleto che non si limiti a riprodurre il sacro testo, implica anche la riscrittura, che dà nuova forza al testo e lo rende più vivo, sentito e interiorizzato dai giovani attori. In questa prospettiva, da segnalare alcune invenzioni interessanti.
Talvolta in scena abbiamo uno, tre, dieci Amleto: è sufficiente una camicia dello stesso colore, e l’angoscia del principe si moltiplica a specchio sui volti dei ragazzi. Così il monologo “Essere o non essere” si frantuma, per scomporsi e ricomporsi coralmente, sulle tonalità dei diversi attori, e rivela anche possibili ombre di comicità, si fa energia fisica condivisa (Liceo scientifico A.Volta). Ofelia si sdoppia in due fanciulle, unite e divise da una fune che rivela la tensione interiore della scelta, amore o obbedienza (Liceo classico G.Carducci), oppure la sua morte è descritta da Gertrude e intanto avviene come movimento di ombre dietro un pannello (Liceo linguistico A.Manzoni). L’epilogo è affidato al Liceo scientifico Gandini di Lodi, che va “oltre il silenzio” ed esplora la vicende del principe nella prospettiva del dopo, fra un coro di altri morti.
Originale e ben costruita è la proposta del Liceo Berchet sul terzo atto, quello del play-within-the play. Una coloratissima compagnia di attori ci racconta in flash-back quello che è successo nel palazzo, ma la narrazione si trasforma in una giocosa recita, che rifà l’Amleto davanti ai nostri occhi. Con mezzi semplici (basta passarsi a staffetta un gilet e si diventa Amleto) il racconto sfuma in canto, baruffa, corsa, mimo, in una continua alternanza di piani.

“Io ero Amleto”: questa frase è stata ripetuta più volte. Il teatro quindi come racconto fiabesco e gioco. Ma soprattutto, una sfida. Infatti, come mi confessa una ragazza, tutti hanno dovuto vincere “i propri fantasmi”. Ora, superate timidezze e paure, hanno conquistato nell’atto creativo una nuova responsabilità, la coscienza di sé e del gruppo. Sotto la luce dei riflettori sembrano più grandi, e non è solo un effetto ottico.

Gilda Tentorio