«Dimenticatevi Shakespeare: non credo sia il momento giusto per tornare a lavorare sul repertorio».

Con questo annuncio termina la prima giornata del laboratorio fatto alla Biennale Teatro da quel regista che è stato definito “il Tarantino della lirica europea”: Calixto Bieito.

E d’improvviso sul volto dei dieci partecipanti – a cui era stato chiesto di imparare a memoria il primo monologo di Lady Macbeth o quello di Sigismondo de La vita è sogno – si dipinge un sorriso ambiguo, alla Monna Lisa. Piacere della sfida? Curiosità? Confusione? Sicuramente la perplessità e la preoccupazione di dovere imparare un testo nuovo in pochissimo tempo. Già, perché nelle prossime ore ognuno di loro dovrà memorizzare un intero racconto di Edgar Allan Poe e una canzone di Lou Reed: «Comunque non vi preoccupate, non vi farò declamare tutto il tempo: vi giuro che faremo teatro!», rassicura il maestro.

Ma facciamo un passo indietro.

La giornata era iniziata senza fretta, in una lenta danza di conoscenza reciproca. Prima un giro di autopresentazione, poi ognuno è chiamato a proporre il proprio monologo senza passare dal riscaldamento né da alcun genere di lavoro di concentrazione o di gruppo.

Calixto Bieito posiziona la sedia davanti a una delle tante colonne della sfarzosa sala della sede di Ca’ Giustinian e aspetta. Appena dietro, siedono gli attori (stranamente non sul pavimento: ma è senz’altro la sala a inibirli) e guardano il profilo del regista che spunta sornione, mezzo nascosto dalla colonna. Davanti a loro, lo spazio vuoto e il pianoforte.

«Domani cercheremo di fare qualcosa per questo spazio. È troppo freddo. E ora: chi va? Chi comincia?».

Uno dopo l’altro, i dieci attori e attrici si offrono, un po’ esitanti, allo sguardo e alla curiosità del maestro. Ma non c’è giudizio ad attenderli: Bieito osserva e, in un solo momento, indovina e comprende la qualità dominante di chi gli sta davanti per poi, inevitabilmente, condurlo nella direzione opposta.

Così, chi ha preparato una Lady Macbeth sanguinaria e potente, si troverà a renderla una bambina innocente; chi snocciola il testo con naturale delicatezza dovrà incalzare con forza ed energia; chi tende a declamare con solennità sarà chiamato a “buttare via” il testo immaginando di cucinare. Quando qualcosa funziona, quando l’attore davanti ai suoi occhi arriva proprio al punto dove lui voleva condurlo (cioè quasi sempre), Bieito non lesina complimenti. «Buono, bellissimo». O addirittura: «Sei un’attrice magnifica».

Non è così cattivo, il nostro “Tarantino spagnolo”. Capita anche che si avvicini a qualcuno e gli stampi un bacio sulla fronte: spesso sorride, o, all’improvviso, ride a crepapelle.

Accade così quando Carla, una giovane attrice di Barcellona ribattezzata da Bieito “my catalan lady” presenta il suo monologo. «Ma cos’è questo testo? Di chi è? È una schifezza!» la interrompe presto Bieito: alla notizia che è tratta da una drammaturgia originale, prossima ad andare in scena in un importante teatro di Barcellona, e che lei lo ha imparato per presentarsi a un provino, i due si guardano e cominciano a ridere senza riuscire a smettere.

Ormai l’atmosfera è calda, tutti cominciano a sentirsi a proprio agio: il lavoro si fa più rapido, il meccanismo è oliato, gli attori divengono creta da plasmare, gli interventi arrivano velocemente al punto. L’alchimia avviene anche grazie alla presenza silenziosa, delicata e pervasiva di Jung Hun Yoo, pianista della Fenice di Venezia che segue l’intero lavoro. Bieito le chiede di improvvisare, di entrare con le sue note tra le pieghe del testo degli attori, di incalzarli o di rallentarli, di addolcire qualche asprezza. Jung non si tira mai indietro, nemmeno quando c’è da musicare una canzone mai sentita prima, o da accompagnare Alessandra, attrice e cantante lirica catanese, mentre canta l’aria della Carmen («Insomma, sai fare proprio tutto!» esclama Bieito guardandola passare con nonchalance da Shakespeare a Bizet). Le note del pianoforte agiscono, per tutta la giornata, come un catalizzatore di ritmo. Ed è proprio questo, a pensarci bene, il cuore e il denominatore comune di ogni intervento di Bieito sugli attori: il ritmo. Della parola. Dell’azione. Della scena. Ma non stupisce che sia così, per un maestro abituato a lavorare tra prosa e lirica, convinto che la musica sia l’arte che «nos habla de manera más inteligible que cualquier idioma».

Nella sua sedia di regia, Bieito si muove, non a caso, come un direttore d’orchestra che con le mani chiama un piano, un pianissimo, poi all’improvviso un crescendo.

L’intera giornata, allora, ha tutta l’aria di essere stata una lunga pratica per accordare gli strumenti, che ora sono finalmente pronti per suonare insieme. La melodia, ça va sans dire, è tutta diversa da quella per cui tutti i partecipanti si erano preparati: stiamo pur sempre parlando di Calixto Bieito…

Maddalena Giovannelli

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