Fuori dall’ingresso del teatro Elfo Puccini, un sabato mattina di ottobre, appare una scena inusuale: ragazzi giovanissimi, tutti rigorosamente in “seconda posizione”, parlano del più e del meno, dei compiti di scuola, della stanchezza, di film e serie tv che hanno visto di recente. Attendono di entrare. Si muovono e relazionano con una certa sicurezza ma basta guardarli negli occhi per vedere la loro emozione. L’atmosfera è febbricitante ed elettrica. È il loro momento.

Nell’ottica di dare spazio ai danzatori delle nuove generazioni, quest’anno MilanOltre ha selezionato tredici artisti provenienti da sette tra le più prestigiose scuole di avviamento professionale alla danza di Milano. A loro è stata data la possibilità di presentare uno spettacolo interno alla rassegna del festival e calcare il palco della sala Fassbinder.

Lorenzo Conti, progettista culturale di MilanOltre, ci racconta che l’obiettivo a cui l’evento punta è «dare ai ragazzi e alle ragazze la possibilità concreta di confrontarsi all’interno del programma del festival» e quindi compiere il primo passo verso il mondo del lavoro.

In scena i giovani artisti, la cui età oscilla tra i 17 e i 23 anni, si succedono presentando tredici assoli: dieci di loro hanno lavorato in autonomia, come interpreti e coreografi; tre, invece, hanno elaborato la propria performance in collaborazione con altrettanto giovani coreografi, selezionati dalla direzione.

Nelle loro Affollate Solitudini, pur se coordinati da Conti e de Pace, i ragazzi sono stati lasciati liberi di sperimentare liberamente. Unica condizione imposta dall’alto è stato il tema da seguire: la mitologia. Ma questo fil rouge viene esplorato con grande inventiva e abilità di reinterpretazione e rielaborazione. C’è chi parte dal mito per riscriverlo, chi cerca nella sofferenza del personaggio mitologico traccia della condizione umana, chi lo accosta a tematiche della contemporaneità. Qualcuno addirittura non si limita all’Occidente e sceglie di raggiungere i miti di un Oriente lontano. Molti, poi, restituiscono le tracce di un’ambientazione sospesa puntellando il nero e vuoto spazio scenico con l’impiego di oggetti che assumono un valore simbolico.

Le strade coreografiche percorse dagli interpreti sono molte, dalla frammentarietà e decomposizione del gesto all’esplorazione di un corpo fluido e quasi informe, finanche l’utilizzo di una marcata teatralità e potenza espressiva. Alcuni spiccano per la loro precoce abilità drammaturgica, che riescono a diramare e dimostrare in un arco di tempo strettissimo, di pochi minuti. Qualcuno azzarda addirittura ad andare oltre la musica, iniziando o concludendo la propria esibizione in un silenzio che ipnotizza la sala e permette di sentire il respiro dell’artista, i suoi grugniti o i suoi farfugli.

Anche le scelte musicali sono variegate: spaziano dal minimalismo (si distingue la prima esibizione, in cui la presenza di una tastiera e una pianista in scena determina un’estrema compenetrazione e interdipendenza di musica e gesto) allo sperimentale (colpisce l’utilizzo della voce di un politico americano, che sembra quasi provenire da una trasmissione televisiva o radiofonica e la cui ricezione è costantemente disturbata).

Pur nei diversi codici linguistici, tematici e semantici, in tutti si nota la ricerca di una gestualità che esprima la crisi esistenziale dell’individuo e dunque la sua fragile interiorità. Insomma, un’eterogeneità di proposte di fronte alle quali il pubblico viene investito da un’enorme energia allo stato grezzo e una forza propulsiva che sembra connotarsi come elemento distintivo di questa nuova generazione. Infatti, una delle performer ci dice: «In noi c’è un grande spirito di libertà, una voglia di rivalsa. Soprattutto dopo il periodo che abbiamo vissuto: io mi sono ritrovata tra i quindici e i sedici anni, ossia la fase in cui puoi iniziare a ballare di più in scena, a dover restare in casa e non poter accedere alla sala prove o esibirmi su un palcoscenico. Quindi adesso in noi c’è questa voglia — o forse necessità — di buttarsi del vuoto, tentare e vedere cosa accade».

Alessandro Stracuzzi


degli studenti di Accademia Susanna Beltrami/DanceHaus, Liceo Coreutico Tito Livio, Centro Aida, Centro Danza Teatro Oscar e Centro ArteMente.

Qui i crediti dei singoli lavori.


Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview