Quando il palco si illumina non sappiamo quello che sta per accadere. Se l’inizio dello spettacolo ci stupisce, con il passare dei secondi scopriamo che AMANDA mette sul piatto un tema di ricerca potente, ricco di spunti. Spunti soprattutto sonori, visto che i Fratelli Carchidi si concentrano sull’acufene, un disturbo uditivo che consiste in una serie di rumori e fischi che infastidiscono l’orecchio. Il solo di Antonella Carchidi è incentrato sul rapporto con questo disturbo, impersonato da un alter ego dai tratti fortemente maschili, con giacca, cappello e una voce bassa e profonda.
E così l’acufene diventa un fidanzato geloso, che ti insegue e non vuole lasciarti andare, un fidanzato che riformula ogni volta le sue parole, camaleontico nel suo inesausto tentativo di irrompere nella vita che ha scelto di infestare. La posizione dei Fratelli Carchidi è molto chiara: esplorare questo rapporto non solo in termini metaforici, ma addirittura tragicomici, macchiettistici, quasi allegorici. Basta pensare ai passetti insistiti e ritmati della corsa di Amanda, alle sue pose, alle sue battute ricche di ironia.
Tutto questo deriva da una lettura psicanalitica, rafforzata scenograficamente da un piedistallo circolare e dalla luce centrale. La sensazione di spaesamento della protagonista è perfettamente in linea con questa dimensione, in cui si inserisce con altrettanta armonia il rapporto con l’alter ego acufenico. Il matrimonio con cui si conclude lo spettacolo condensa tutte le tensioni costruite dal monologo e saluta gli spettatori con una nota, seppur fedele all’atmosfera tragicomica, estremamente dolorosa.
Riccardo Corcione
AMANDA
dei Fratelli Carchidi
con Antonella Carchidi
regia e drammaturgia Francesco Ivan Carchidi
sound design Remo De Vico
Spettacolo visto in occasione del Premio PimOff per il teatro contemporaneo 2020