Sul palco della Fondazione AEM, in Piazza Po nel quartiere Washington, Pietro Cerchiello e Tommaso Imperiali presentano Ecologia capitalista, uno spettacolo dalla comicità arguta che procede per scorci e impressioni, sogni e hit pop, unendo istanze del genere post-drammatico a momenti di teatro-canzone, in un mosaico di situazioni solo apparentemente slegate.
Prima che lo spettacolo inizi, una voce fuori campo invita gli spettatori a lasciare accesi i cellulari, perché le tematiche presentate «saranno trattate con superficialità»: una dichiarazione di intenti perfettamente coerente con lo stile ironico della performance, ma parzialmente disattesa dall’articolazione stratificata del testo.
Pietro e Tommaso salgono sul palcoscenico. Il primo cerca di parlare, mentre il secondo lo interrompe costantemente con intermezzi musicali alla chitarra che rallentano la narrazione e, allo stesso tempo, la completano. Pietro scherza col pubblico: parla di koala e di kiwi, due specie a rischio di estinzione che destano l’interesse dell’attore solo per il loro aspetto estetico tenero e malinconico, anche perché «i koala non servono a un cazzo, proprio come l’ecologia». La battuta introduce un gioco antinomico mai tradito nel corso di tutto lo spettacolo, ma che nasconde il senso reale della messinscena, costruita sui binari di un sarcasmo sottile e di un’ironia arrogante. Le logiche egoistiche del capitalismo e della società contemporanea spingono infatti gli interpreti a formulare un nuovo approccio linguistico e politico all’attivismo ecologista, sfruttando i meccanismi stessi del nostro pervasivo sistema economico in modo da evidenziarne le contraddizioni. La differenza tra l’uovo di gallina e l’uovo di anatra diventa il punto di accesso più immediato a questo dispositivo drammaturgico: entrambi hanno lo stesso valore economico, eppure sono percepiti in modo differente dal consumatore, influenzato dalle immagini offerte nelle campagne pubblicitarie. Così, invece di vendere il prodotto per le sue qualità oggettive, si cerca di trovare un espediente che ne giustifichi la scelta per ragioni emotive: le galline cantano; le anatre no. E allora si compri l’uovo di gallina!
Seguendo gli stessi principi, i due attori cercano di confezionare un attivismo ambientalista il più appetibile possibile per il pubblico. «A me dell’ecologia non me ne frega un cazzo. Sono un nazi-carnivoro» rivela Tommaso. Sceglie di scrivere un testo di impianto ecologista solo perché, a suo dire, non è il pianeta a essere in pericolo, bensì gli esseri umani. Questo ribaltamento strafottente della narrazione crea un cortocircuito per lo spettatore: il capitalismo si trasforma in un artificio retorico e la frammentarietà del testo ne diviene sintomo, facendo emergere prepotentemente il nocciolo critico nascosto tra le pieghe dell’ironia. È il caso dello sfogo che porta Pietro a lamentarsi della sua professione e a sognare di fare un lavoro tranquillo, ben pagato, che abbia una considerazione sociale più dignitosa, fosse anche sterile e meccanico.
In un puzzle di situazioni inaspettate così delineato, nel finale si inserisce anche Dio: niente meno che un italiano medio, con la maglia di Michael Jordan, in coda al Burger King. Questa versione alternativa dell’Altissimo, anch’egli schiavo del consumismo capitalista, introduce un delirio onirico che porta Tommaso a naufragare in un futuro distopico, in cui tredici uomini siedono a una tavola imbandita, sigillando pani e pesci in buste di plastica non riciclabili. L’ultima cena degli Uomini, destinati a soccombere dinnanzi alla propria indifferenza, si presenta come l’occasione per riflettere sulla realtà dell’ecologismo apocalittico e sui suoi limiti: questo incubo è visto come frutto di una paura irrazionale, di un’inquietudine esistenziale che spinge gli esseri umani a rivolgersi all’ambientalismo principalmente per il timore di diventare vittima di sé stessi. Lo spettacolo si chiude con l’immagine di una foresta in cui, tra funghi e radici, cresce anche l’umanità: un futuro in potenza connesso alla natura di cui, coscientemente o meno, anche noi siamo parte.
Claudio Favazza
in copertina: foto di Davide Aiello
ECOLOGIA CAPITALISTA
di e con Pietro Cerchiello
musiche Tommaso Imperiali
regia Ariele Celeste Soresina
produzione Dimore Creative
con il sostegno di Fondazione Cariplo, Smart Italia, Fondazione Claudia Lombardi Lugano
Contenuto scritto nell’ambito dell’osservatorio critico di FringeMI 2024