di Luigi Dadina e Laura Gambi
regia di Luigi Dadina _ Teatro delle Albe
visto al Teatro dell’Elfo di Milano _ 10- 20 dicembre 2015
testo edito da Titivillus, a cura di Cristina Valenti

Non parla, lui. Quando lei lo incalza mugugna, sospira, solleva le sopracciglia. Non cede, lui. Proprio come faceva da piccolo, quando si nascondeva sotto il letto per ripicca.
Inizia così Amore e Anarchia, con un irrestistibile scambio quotidiano tra coniugi, misurato, fresco, comico perché credibile. Potrebbero essere i vicini della porta accanto, quel signore dal volto corrucciato pronto a sciogliersi in un sorriso, e quella donna volitiva e un po’ petulante. Invece sono Maria Luisa Minguzzi e Francesco Pezzi (da pronunciare rigorsamente con le due ‘z’ alla romagnola), anarchici ravennati che attraversarono il crocevia tra Ottocento e Novecento tra rivoluzione, fughe e carcere.

Eccoli qui, un centinaio di anni dopo, chiusi nella scuola di San Bartolo, ad ascoltare i rumori di una vita alla quale non hanno più accesso, come ospiti di un mondo del quale prima erano inquilini. Al di là della parete, ci sono le maestre che spiegano (sommariamente) le imprese garibaldine, e i bambini che vociano e vanno, come le cose leggere e vaganti. Ed è proprio la presenza/assenza della generazione del futuro a fornire la chiave dell’intero spettacolo e, per così dire, la sua giustificazione profonda: i due anarchici – incarnati, più che semplicemente interpretati, dai bravissimi Luigi Dadina e Michela Marangoni – ancora fremono per cambiare la storia, ancora non resistono ad ascoltare resoconti non esatti, a non poter dire la loro. E se a tratti sembra che il racconto si pieghi troppo all’esigenza di ricapitolare e informare (nella ottima ricerca storica i due autori si sono avvalsi dell’aiuto di Massimo Ortalli per l’archivio storico della FAI e di Cristina Valenti), si comprende presto che il punto è un altro: è vana, quella storia, se non serve a comprendere meglio il presente, a farsi guidare da uguale passione, a premere per il cambiamento.

Nel ripercorrere ancora e ancora fatti già infinite volte ricordati (ma per lo più ignoti al pubblico), nel menzionare le date e i nomi della rivoluzione (Andrea Costa e Enrico Malatesta, su tutti) i due anarchici non cercano gloria per le proprie imprese, ma ancora si infiammano d’amore per quell’idea così irresistibile e vorace da chiedere in cambio la vita intera. La Minguzzi ancora proclama, arringa, rilegge il Manifesto dedicato alle operaie d’Italia: “La società del presente ci ha detto: o soffri la fame o venditi. La società dell’avvenire ci dirà: vivi, lavora ed ama”. Difficile non pensare a quanto l’oracolo sia lontano dal realizzarsi, ai tempi di Renzi e del Jobs Act; e proprio nell’inevitabile ‘sentimento del contrario’ che affligge lo spettatore risiede la vigorosa valenza politica dello spettacolo. Niente di strano, del resto, quando si parla del Teatro delle Albe, che teorizza un teatro non solo politico ma “politttttttico”, evidenziando con l’insistenza consonantica la radicale urgenza della questione.
Di questo e altro si occupa anche la pubblicazione Amore e Anarchia, curata da Cristina Valenti per Titivillus, che raccoglie oltre al testo, approfondimenti artistici e storici di largo respiro (tra le molte firme rilevanti, Gerardo Guccini, Marco Martinelli e Claudia Bassi Angelini, autrice del libro che ha ispirato lo spettacolo). Da leggere, per chi vuole continuare a conversare con Maria Luisa Minguzzi, Francesco Pezzi, e con altri che non si arrendono.

Maddalena Giovannelli