di Vanessa Korn
con Stefano Cordella
visto allo Spazio Tertulliano_dall’11 al 15 Giugno 2014

“Anton Čhecov detestava le biografie. Ma questa è un’altra storia.” Così assicura, quasi beffardamente, la nota introduttiva di ANTON- scherzo in un atto, spettacolo dedicato al grande drammaturgo russo Anton Čhecov e firmato da Vanessa Korn.
Non ci si lasci ingannare: non è un’altra storia. Anzi, la chiave per leggere questo monologo sta proprio nel saper cogliere nella dissacrante contraddittorietà del titolo (il tema, tutt’altro che scherzoso, è quello dell’autore morente), quella stessa amara ironia che Čhecov infondeva ai suoi racconti.

“Per fare un buon racconto dicono ci voglia un eroe. Ma a me gli eroi non piacciono e perciò ci metto un eroe morto”, aveva dichiarato lo scrittore. La giovane regista e drammaturga (nota sulla scene milanesi soprattutto come interprete), sembra averlo preso in parola: la sua selezione di scritti, lettere e testimonianze non mira a celebrare l’auctoritas cechoviana tracciandone una sorta di agiografia, ma piuttosto a spogliarla da qualsiasi aura mitizzante. I patemi della malattia, la frustrazione, la solitudine dell’ultimo periodo di vita dell’autore de Il gabbiano diventano gli elementi perfetti per il compendio di umanità a cui la Korn vuol dare risalto.
Attore e regista sono dunque molto attenti nel costruire un’intimità domestica che restituisca per mezzo di piccole azioni ordinarie (lavarsi i calzini, bere un bicchiere di vino, vestirsi, spogliarsi) la quotidianità ovattata e tediante che scandì le ore del ritiro campagnolo.

A spezzare il ritmo ipnotico, a tratti elegiaco, a cui cede l’esposizione di Cordella, sopraggiungono repentini cambi di registro: si tratta per lo più di cavalcate lessicali atte a rievocare i ricordi della vita dell’autore, testimonianze di una vitalità che non vuole arrendersi all’ineluttabile e che, anche nell’imminenza della fine, cercherà di trovare nello scrivere la sua ragione d’essere.
Il flusso di coscienza si perde solo a tratti in qualche inconcludenza testuale che, insieme ad alcune musiche un po’ troppo didascaliche (Resto qua di Capossela suona davvero pleonastica a quanto accade in scena), increspa la compostezza di uno spettacolo altrimenti molto calibrato.
Diligente nel rispettare il sottile malessere cechoviano senza cedere a chiassose soluzioni scenografico-visive, ANTON trova la sua immagine più evocativa nel nudo integrale del protagonista: nei sussulti che scuotono l’imponente figura di Cordella indoviniamo tutta la fragilità di un uomo allo stremo, quasi trasfiguratosi in un cadavere che ancora cammina.
L’effetto dissonante che ne scaturisce (imponenza nella vita/fragilità nella morte) richiama quel misto di disagio e sbigottimento che deve aver colto le persone in attesa della salma dello scrittore alla stazione Nikolaj di Mosca. Giunte numerose al binario per omaggiare uno dei capisaldi della letteratura russa, si accorsero con sgomento che il vagone che trasportava il feretro di Čhecov recava la scritta “Trasporto di ostriche”: un involontario, ma ben riuscito, scherzo in un atto.

Corrado Rovida