Quando nel 1974 nella valle dell’Auasc, in Etiopia, venne rinvenuto il primo scheletro fossilizzato di un esemplare di australopithecus afarensis, nel campo di spedizione risuonavano le note di Lucy in the Sky with Diamonds dei Beatles. La scoperta fu sensazionale e fece il giro del mondo, aggiungendo una tappa fondamentale per la ricostruzione della storia dell’evoluzione della specie umana. Così, in omaggio alla colonna sonora di quei giorni, il reperto A.L. 288-1 ben presto divenne per tutti Lucy, e quel nome della nostra antenata, ormai famigliare, è divenuto simulacro dello sviluppo dell’umanità. Ecco allora che quando nel 2022 nasce un nuovo festival orientato verso quelle sperimentazioni del contemporaneo declinate attraverso la ricerca tecnologica e l’indagine robotica e digitale, si sceglie di chiamarlo Lucy Festival, con sottotitolo Linguaggi della scena technologically oriented. A fondarlo e dirigerlo è la compagnia bolognese (S)blocco5, ossia Ivonne Capece e Micol Vighi e, anche per la sua seconda edizione, la manifestazione prende vita tra Bologna e Forlì, città in cui ho potuto assistere alle due serate conclusive del Festival (2 e 3 dicembre 2023).

È proprio quel famoso brano dei Beatles a farsi ascoltare dalle cuffie che indossiamo all’interno del Teatro Giovanni Testori di Forlì durante Inside me + Lucy, anch’essa firmata da (S)blocco5. Il lavoro vede due danzatrici, Laura Palmieri e Marta Tabacco, impegnate in due «performance leopardiane su natura e tecnologia» – come leggiamo nel programma di sala – che avvengono simultaneamente sul palco. La scena è divisa a metà: da un lato scorre l’evoluzione dell’uomo, dall’altro si osserva l’interazione di una persona con un robot. Dai primi vagiti alle urla delle scimmie antropomorfe, dalla ripetizione dei primi esametri del proemio dell’Iliade ai gorgheggi della musica classica, e ancora citazioni di Dante e Shakespeare, la declamazione dell’amore di Catullo per Lesbia, l’enunciazione del teorema di Pitagora: si costruisce così una partitura di flash e frammenti che ripercorrono le tappe dello sviluppo della civiltà e mettono in luce una disperata e titanica resistenza dell’uomo di fronte alle difficoltà, a una natura matrigna più che madre. In qualche modo da qui, dal passato, lo sguardo corre – in un gioco di continuo riverbero – all’altra parte del palco, che incarna le possibilità del futuro. Una donna interagisce con un braccio meccanico, prestato alla compagnia dalla multinazionale Kuka: è un robot definito collaborativo. In questa azione possiamo riscontrare gesti prototipici e fondativi dell’umanità, evocativi della sua evoluzione e, forse, degenerazione: un risveglio da terra e l’assunzione della posizione eretta, un gioco di rifrazione con una mela e uno specchio, la distruzione di una pianta. L’effetto è un sorprendente rapporto tra la donna e il robot che si fa sempre più intimo, privato, affettivo, quasi naturale; si costruisce una relazione profondamente umana, financo erotica, di carezze e sfioramenti, di cura reciproca, che si traduce in coreografia.

Inside Me + Lucy, foto ufficio stampa

Quello dell’interazione tra uomo e macchina, insieme alla presenza dei robot in scena, è tema centrale di queste giornate forlivesi. Il Festival ha infatti ospitato anche Gradi di libertà,una tavola rotonda organizzata e moderata da Matteo Casari, professore associato in Discipline dello spettacolo presso l’Università di Bologna: insieme al suo team, il docente sta conducendo una ricerca sulle possibilità del digitale, dei robot e dell’intelligenza artificiale nelle pratiche teatrali e creative. Il momento di confronto ha visto lo scambio di esperienze tra professionisti e studiosi di ambiti molto diversi: la responsabile marketing di Kuka Italia, Inga Akulauskaite-Manocchia; insieme a lei, Marta Tabacco, performer del già ricordato Inside me + Lucy; e ancora Salvatore Anzalone ed Erica Magris, docenti e coordinatori, insieme a Giulia Filacanapa, del progetto dell’Université Paris 8 Scène et robotique. Proprio Anzalone e Magris hanno presentato, ognuno dalle proprie prospettive – l’ingegneria informatica e robotica per Anzalone, gli studi teatrali per Magris – i risultati del lavoro svolto insieme a un’équipe di studenti dell’ateneo francese: un processo che ha dato vita allo spettacolo-conferenza Roboact, portato in scena a Forlì. Questa performance ha seguito, in un flusso di continuità di tempo e pensiero, il dibattito condotto nel foyer del teatro, indagando ancora una volta le possibilità d’azione della robotica nel mondo delle pratiche performative. Il gruppo di ricerca alterna brevi sequenze dimostrative a dialoghi divulgativi tra studiosi, facendo agire sul palco piccoli robot umanoidi, in un rapporto stretto e costante con gli umani in scena, che con loro parlano e interagiscono.

Saperi e pratiche differenti, nelle giornate di Lucy Festival, hanno così aperto prospettive e interrogato le posture osservative e i nostri pregiudizi, sviscerando l’urgenza di sperimentare attraverso l’arte il monstrum – in piena accezione latina – della tecnologia. Quel che emerge dai lavori presentati, con una certa dose di fascinazione,  è la dimostrazione di una possibilità emotiva di interazione con le macchine, tramite un approccio fisico, sentimentale, fortemente carnale. La corporeità, dunque, si manifesta qui ancora come un punto nodale dell’atto performativo, non potendone quasi prescindere. In fondo, le sperimentazioni osservate con i robot rivelano la nostra prospettiva profondamente umana: traspare la quasi ossessiva umanizzazione della macchina, la riconduzione di un codice a qualcosa di intellegibile e sensibile per noi, con gli strumenti umani.

Roboact, foto ufficio stampa

Proprio sull’atto di presenza, pur attraverso altri codici e strumenti, si interroga il lavoro presentato dalla compagnia veneta Anagoor. Todos los males,con la regia di Simone Derai, è un film per il teatro, girato a partire dal lavoro di allestimento dell’episodio Gli Inca del Perù de Le Indie Galanti, un’opéra-ballet di Jean-Philippe Rameau del 1735, messo in scena dal gruppo al Teatro Galli di Rimini nel 2022 su commissione della Sagra Musicale Malatestiana. In effetti, in video appaiono le riprese effettuate in teatro, in un gioco di specchi e rifrazioni che non si possono ridurre alla semplice idea del making of. Guardare un film a teatro, nell’ambito di un festival, è un’esperienza precisa, che mette in discussione gli spazi e il posizionamento del pubblico. Ormai il video è un dispositivo tecnologico ampiamente entrato, oltre che nel nostro quotidiano, nel linguaggio performativo e nella sua grammatica, tanto da non generare più motivi e occasioni di stupore o dubbio quando lo si vede utilizzato in scena. È parte integrante di moltissimi spettacoli teatrali – e proprio i lavori di Anagoor ne sono un fulgido e intelligente esempio – oltretutto è ampiamente impiegato anche nel teatro lirico, tanto da non essere quasi più percepito come una “tecnologia” vera e propria.

Tuttavia, pur avendo dunque esperienza comune e quotidiana del multimediale, ancora siamo in difficoltà nella definizione di un oggetto ibrido come Todos los males, che di fronte a un preponderante utilizzo di un linguaggio e di un dispositivo, pone e rinnova interrogativi. È un problema di definizione, di formato, oppure è una questione di sguardo? È video nel video, è teatro nel teatro, è gioco di dispositivi? Il film di Anagoor moltiplica i punti di vista dello spettatore: non siamo di fronte al consueto utilizzo del video in scena, bensì di fronte a un video totale, a un film; eppure la prospettiva che si adotta è strettamente teatrale, quella di una platea riflessa, di una comunità che gioca nel doppio rispecchiamento, tra ciò che avviene in teatro e quello che accade nella sala proiettata sullo schermo. È un tentativo di riflettere sulle nostre posture e sulle nostre aspettative, a partire anche dall’oggetto del film-spettacolo: Le Indie Galanti narra della conquista, della sottomissione e dello sterminio del popolo e della civiltà incaica per mano degli europei e lo fa, com’è ovvio per l’epoca, in maniera esaltante e razzista. In un incontro col pubblico dopo la visione, Simone Derai racconta l’imbarazzo, i dubbi, le indecisioni percepiti nell’affrontare lo sviluppo di quest’opera: Anagoor prova così a decolonizzare il nostro sguardo, in un presente ormai ben consapevole degli orrori di quegli atti, eppure ancora intriso di fitto sostrato colonialista. Se il Tahuantinsuyo, ossia in lingua quechua tutto il territorio sotto il controllo degli Inca, è stato depredato, schiacciato, sterminato, umiliato, e se Le Indie Galanti hanno partecipato all’osanna, allora Todos los males contribuisce a uno spostamento, a una possibile ricostruzione della frattura, anche grazie al lavoro fatto insieme a una comunità peruviana del Veneto, invitata a partecipare al processo creativo.

Todos los males, foto ufficio stampa

È tutta questione di sguardi, dunque. Di scavallamenti, di intrecci, della messa in campo di saperi differenti che ibridano il medium teatrale e i dispositivi della creazione artistica, contaminando le performance e soprattutto – appunto – il nostro sguardo. In una piccola città di provincia della Romagna si è sollevato uno dei tanti temi che riguardano la complessità del nostro presente, ricordandoci però delle molte possibilità esistenti, ma anche della difficoltà nello sbrogliare le matasse dell’oggi senza incappare nell’eccessiva semplificazione. Così il nostro guardare alle cose del mondo si riverbera in teatro, e viceversa.

Andrea Malosio


in copertina: Inside Me + Lucy, foto ufficio stampa

INSIDE ME + LUCY
regia e drammaturgia Ivonne Capece
performer Laura Palmeri, Marta Tabacco
costumi e concept visivo Micol Vighi
partnership Kuka Robotics per utilizzo di Robot Iisy
patrocinio del Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna
Le performance sono parte del progetto Gradi di Libertà a cura del prof. Matteo Casari, docente del Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna
a cura del prof. Matteo Casari e il gruppo di ricerca Performing Robots Interdisciplinary Research Group la collaborazione tra Lucy Festival e KUKA Italia

ROBOACT
regia Giulia Filacanapa
da un progetto di Salvatore Anzalone, Giulia Filacanapa e Erica Magris nell’ambito della ricerca Scène et robotique EUR ArTeC /Université Paris 8
interpreti Sarah Brunet, Filippo Bruschi, Giulia Filacanapa, Jérémy Larkan, Konstantinos Rizos, Andrea Sarango
e i robot NAO e  QTrobot
programmatori Anis Derri, Predrag Kostic
programmazione e adattamento delle piattaforme informatiche Salvatore Anzalone
scenografia e videomapping Charlène Dray
assistente per gesto e movimento Léandre Ruiz
documentazione video e trailer Saeed Ahmadian
maschere e elementi scenografici Stefano Perocco di Meduna
collaborazione artistica e scientifica Simona Polvani, Filippo Bruschi
la conferenza-spettacolo è stata realizzata con il sostegno dell’EUR ArTeC e dell’ANR nell’ambito del programma Investissement d’Avenir, del Laboratorio di scienze cognitive e artificiali (CHArt), e del Dipartimento di Studi Teatrali dell’Università Paris 8

TODOS LOS MALES
un film di Simone Derai
da un progetto artistico Anagoor
tratto dall’allestimento de Les Incas du Perou / Les Indes Galantes
musica di Jean Philippe Rameau
libretto di Louis Fuzelier
in associazione con Sagra Musicale Malatestiana
filmato al Teatro Amintore Galli di Rimini
da un’idea di Alessandro Taverna