Sono conosciuti e amati per i suggestivi spettacoli che mettono in scena al cimitero militare del passo della Futa, memoriale funebre dei caduti germanici nella Seconda guerra mondiale, ma gli Archivio Zeta (al secolo Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti) stanno allargando i loro orizzonti. Scesi dall’Appennino Tosco-Emiliano, sono risaliti lungo l’Italia nord-orientale fino al Trentino, per portare uno dei loro lavori più apprezzati vicino alla terra che ne ha generato il testo. Stiamo parlando de Gli ultimi giorni dell’umanità di Karl Kraus, mastodontica drammaturgia – quasi 800 pagine nell’edizione Adelphi – nota per la messa in scena che ne fece Luca Ronconi negli spazi del Lingotto a Torino, e che gli Archivio Zeta hanno letto, tagliato e riassemblato in uno spettacolo itinerante in tredici quadri, debuttato alla Futa nell’estate del 2014.

Palcoscenico d’eccezione per questo viaggio al nord, un luogo che fonde il DNA della compagnia con la storia del territorio: il Sacrario militare di Rovereto. Costruito sulle rovine medievali di Castel Dante, il monumento contiene le salme di oltre ventimila soldati italiani, austro-ungarici e cecoslovacchi, noti e ignoti, caduti durante la Prima guerra mondiale. Proprio in questi luoghi infatti la Grande Guerra imperversò con particolare ferocia, dividendo il popolo trentino tra fedeli agli austriaci (del cui impero faceva parte il territorio) e irredentisti (favorevoli all’annessione con l’Italia). Dunque le drammatiche vicende descritte da Kraus prendono vita in un contesto che non solo ha vissuto direttamente le tragedie umane e collettive del conflitto, ma che, a differenza del monumento appenninico, raccoglie la memoria proprio della guerra del ‘15-‘18.

L’architettura del luogo è molto diversa “dall’allungarsi all’orizzonte” del Cimitero della Futa: qui lo sguardo è richiamato in alto, in una verticalità vertiginosa e spiazzante che culmina nel complesso cilindrico che domina la valle dell’Adige. Una ripida scalinata porta al corpo centrale e lo avvolge in piani concentrici, delimitando terrazze, spiazzi di maggiore o minore respiro, rivelando improvvise discese e magnifici resti dell’antico castello.
Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti hanno saputo adattare con precisione ed efficacia lo spettacolo alle nuove necessità dettate dal luogo, facilitati anche dalla natura modulare del loro lavoro. In scena, oltre ai due fondatori della compagnia, gli attori Alfredo Puccetti, Ciro Masella, Renata Carri e Giulia Piazza, i due piccoli Antonia e Elio Guidotti e il portatore della “Voce dall’alto” Andrea Sangiovanni. Inerpicati sulle scalinate, gettati a terra o nascosti dietro le balaustre, gli Archivio Zeta inanellano una lunga serie di personaggi grotteschi, ridicoli, tragici e commoventi per narrare con singolare sottigliezza le atrocità della guerra, le sue contraddizioni, le opinioni e i parossismi che essa genera. Le parole vengono lasciate cadere sul pubblico dall’alto, e sembrano invitare il singolo spettatore a riempirle di senso.
E proprio “Una Voce dall’alto” è il titolo dell’ultimo quadro dello spettacolo, dominato dalla presenza di un inquietante uomo-macchina che proclama la necessità di distruggere l’intera umanità. A parlare è la voce registrata di Luca Ronconi. Tale intervento, che nel 2014 era stato ideato come omaggio al grande regista e al suo lavoro su Kraus, oggi si fa dialogo a distanza tra la morte e la vita, rendendo ancora più significativa e tangibile la non-presenza di chi resta nei messaggi che lascia dietro di sé.

Ma il personaggio che risuona più fortemente di tutti in questi luoghi è quello di Cesare Battisti. Irredentista trentino, si era unito alle truppe italiane contro gli austro-ungarici, e per questo venne condannato e giustiziato a Trento nel cortile del Castello del Buonconsiglio il 12 luglio 1916. L’esecuzione ebbe un’importante eco mediatica, anche e soprattutto grazie alle fotografie commemorative dell’avvenimento che vennero scattate durante l’esecuzione. Tra queste, quella che gli artisti scelgono di distribuire per porre il proprio pubblico di fronte a un’interrogazione diretta e ineluttabile è quella che riprende il momento immediatamente successivo alla morte dell’uomo. Nell’immagine una folla di civili e militari sorridono in posa attorno al patibolo dal quale pende il corpo senza vita di Battisti, accalcandosi per entrare nell’inquadratura di quella che è significativamente sottotitolata “Foto di gruppo dell’umanità”. Figura paradigmatica della Prima guerra mondiale in Trentino, Cesare Battisti e la sua morte diventano per gli Archivio Zeta il simbolo dell’insensatezza delle dinamiche belliche e della brutalità umana, ben riassunti nell’immagine del boia che si sporge sorridente da un’alta tavola di legno: il cieco orrore della morte e la folle ottusità di chi se ne fa vanto compiaciuto.

Non è un caso che lo spettacolo degli Archivio Zeta sia dunque stato inserito in un complesso di iniziative e celebrazioni proprio per il centenario dell’esecuzione di Cesare Battisti, che culmina con la mostra a lui dedicata “Tempi della storia, tempi dell’arte”. L’esposizione, inaugurata il 12 luglio (giorno preciso della ricorrenza) è stata allestita proprio in quel Castello del Buonconsiglio che fu palcoscenico della morte del patriota e mescola il linguaggio prettamente storiografico con quello storico artistico, restituendo una vivida immagine dell’uomo ma aprendo altresì lo sguardo al territorio teatro delle sue vicende. Fino al 6 novembre 2016 le sale del Castello ospiteranno un percorso denso e accurato che racconta attraverso quadri, fotografie, documenti di vario tipo e installazioni video, la storia dell’eroe irredentista da sempre in bilico tra diverse lingue e identità.

Chiara Marsilli