Secondo Antonio Montanile
Dare vita ad un assolo è sempre un grande momento di prova nel lavoro di un danzatore. Richiede anzitutto una profonda analisi personale – sia come individuo sia come interprete – per riuscire a digerire e riformulare tutte le esperienze vissute nel corso della propria carriera. Lo scopo di un assolo è quello di originare una forma “spettacolare” priva di egocentrismo e vanità, dove il danzatore affida una parte di sé al pubblico senza alcuna ipocrisia. Alla sua origine dev’esserci quindi una spinta “sorgiva” a raccontare di se stessi attraverso la parola della danza e il bisogno concreto di rivelarsi all’altro. Si tratta di un esporsi che richiede generosità, audacia e coraggio e che si rivolge non solo allo spettatore, ma anche, e in primo luogo, a se stessi.
Durante l’iter creativo di un assolo sono molti gli ostacoli e i limiti da superare: la noia, lo sforzo mentale e fisico a cui si è sottoposti e soprattutto la sopportazione “all’inverosimile” di se stessi. Per poter affrontare tutto questo è necessario un atteggiamento resiliente: bisogna imparare e praticare pazienza ed amore costanti nei riguardi del proprio corpo. L’impegno e lo sforzo celati dietro la nascita di un assolo sono totalmente ripagati quando il contributo personale del danzatore si fa contenuto universale per lo spettatore, che lo percepisce intrecciato e in dialogo con altre personali parti di sé.
A cura di Matteo Mauri
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MilanOltreView