Con Atlante del gesto la Fondazione Prada ha aperto i suoi spazi alle arti performative. Nello specifico, gli spazi della sede milanese inaugurata da pochi mesi, esito del recupero di una distilleria degli anni ’20 su progetto di Rem Koolhaas, star indiscussa dell’architettura contemporanea. La scelta di Virgilio Sieni per questo “debutto” si inserisce in una ricerca sulla relazione tra spazio, gesto e movimento di ampio respiro. Da un parte il lavoro sul movimento che il coreografo toscano pratica ormai da anni (l’ultima Biennale Danza, da lui diretta lo scorso giugno, porta il titolo emblematico La dignità del gesto) entra in relazione perfetta con le “tracce” della mostra Serial Classic, curata da Salvatore Settis e Anna Anguissola, che ha occupato gli ambienti della Fondazione nei mesi precedenti la performance. Dall’altra Sieni ha familiarità con gli spazi di Koolhaas, con cui aveva dialogato all’Arsenale di Venezia alla Biennale di Architettura curata dall’architetto olandese nel 2014.
Articolato in fasi di ricerca coreografica e sessioni di presentazione (cui si aggiungono workshop per adulti e bambini e proiezioni cinematografiche), il progetto anima gli spazi della Fondazione per due settimane consecutive (dal 18 settembre al 3 ottobre), trasformandoli in un grande laboratorio della danza, del tutto coerente con le attività dell’Accademia dell’Arte del Gesto fondata da Sieni nel 2007. I percorsi di studio e creazione intorno al senso più profondo (e naturale) del movimento, alle pratiche legate al corpo, allo spazio performativo e alla ricerca iconografica si legano qui in una residenza che abita un luogo aperto al pubblico con temporalità dilatate, generando sinergie inedite.
Questo Atlante si compone di posture e sguardi che, entrando in relazione con lo spazio progettato da Koolhaas, con i visitatori e con le figure statuarie che avevano abitato gli stessi luoghi immediatamente prima, moltiplicano gli elementi di interesse nel rapporto tra la performance e il contesto in cui si svolge. La relazione tra l’azione coreografica e l’architettura è di per sé una pratica non nuova. Un illustre precedente è la serie “Architectural dialogues” di Sasha Waltz, che dal 1999 ha animato gli spazi vuoti progettati da illustri architetti come il Jewish Museum di Daniel Libeskind e il Neues Museum di David Chipperfield a Berlino, o il MAXXI di Zaha Hadid a Roma. Alla ricerca di un’interazione tra la musica, il movimento del corpo e un vuoto di alta qualità si aggiungono qui ulteriori livelli, legati alla riuscita relazione con Serial Classic e alle particolari caratteristiche dello spazio espositivo “abbandonato”.
La mostra di Settis, ospitata ai due livelli del Podium, partiva dall’idea della serialità come caratteristica intrinseca all’arte classica, mostrando tra l’altro come la nostra conoscenza degli originali greci sia demandata a copie romane più che ad originali, spesso andati perduti o tramandati solo per frammenti. Nel progetto allestitivo, disegnato anch’esso da Koolhaas col suo studio OMA, aboliti piedistalli e paratie, le statue sembravano animarsi: poste sui gradoni che, a diverse quote, articolavano il vuoto vetrato dell’open space, le figure in marmo, bronzo e gesso si mescolavano con i visitatori divenendo parte di una sequenza narrativa dinamica, come fossero fermo-immagine di scene teatrali. I gruppi scultorei riunivano diverse “copie” di una medesima figura, di misure, epoche e materiali differenti, giocando proprio sulla ripetizione coreutica del gesto. La spazialità libera e l’interazione tra il visitatore e i corpi statuari rompevano la rigidità di un percorso espositivo tradizionale e, giocando sulle potenzialità della percezione, invitavano ad “agire” lo spazio. Il programma espositivo si è concluso tra l’altro con una “dissoluzione” della mostra in progress che poteva essere liberamente visitata dal pubblico, quasi a volerlo coinvolgere anche nell’ “uscita di scena” delle figure protagoniste dell’allestimento.
L’arrivo di Sieni con i suoi danzatori (professionisti e non) si inserisce in questo ciclo continuo dedicato alla relazione tra figura e sfondo, tra immobilità e dinamicità, tra performers/statue e visitatori/spettatori. Origine, Annuncio (di cui sono protagonisti danzatori non professionisti) Gravità, Rituale e Nudità sono le cinque azioni nelle quali si articola la performance, svolte in contemporanea in diversi ambienti della Fondazione (oltre ai due livelli del Podium, una pedana inclinata che unisce il Podium al cortile e il cinema, che accoglie la danza solitaria della bravissima Annamaria Ajmone). Si tratta di momenti archetipici che, rispettando un approccio “archeologico”, rappresentano i principi di esistenza del corpo. I cinque gruppi si muovono negli spazi della Fondazione mettendo in relazione il proprio movimento con i gradoni ormai vuoti dello spazio espositivo, mescolandosi con il pubblico e invitandolo a entrare in relazione diretta con i performers e ad agire lo spazio. Oltre ai gradoni, un altro elemento del precedente allestimento che dialoga con il movimento dei corpi è costituito dalle lastre verticali di plexiglas che – in alcune partiture – creano un filtro tra spettatori e danzatori. Particolarmente evidente è il loro ruolo nella Nudità al piano superiore del Podium, quando nella penombra un gruppo di danzatrici genera figure di movimento e stasi riconoscibile in lontananza. La già esplorata relazione tra danzatori professionisti e non arriva, con Atlante del Gesto, a una sintesi particolarmente felice (da leggersi in parallelo con lo scardinamento del mito dell’originalità e dell’unicum promosso da Settis?): lo spettatore, nella libertà di spostarsi, percepisce in modo congiunto i diversi gruppi di performers, con le rispettive sollecitazioni. L’intensità dei danzatori e la ritualità coreutica degli altri interpreti concorrono a generare una figura complessa e coerente. La serialità e la ripetizione del gesto portano a sovrapporre le figure in movimento con i gruppi statuari che le hanno precedute mentre il contrappunto generato dai fermo-immagine evoca, in modo immediato, la statica intensità delle statue antiche.
Francesca Serrazanetti