All’interno del simposio STATE OF CARE – Ripensare (e performare) la cura come bene comune organizzato come evento conclusivo del progetto Le Alleanze dei Corpi, Salvo Lombardo ha presentato Atrio, un formato ibrido tra performance relazionale, agorà e ambiente domestico. Lo restituiamo attraverso due istantanee del nostro osservatorio critico Raccontare le Alleanze, firmate da Giuseppe Mongiello Shahrzad M.


Atrio. Un crocicchio di saperi

L’Atrio, prima di costituirsi, necessita che le presenze che andranno a comporlo si esercitino, con il respiro e il movimento, nella via dei venti. A partire da una pratica di inspirazione ed espirazione, Salvo Lombardo ci descrive, con la lentezza naturale del respiro, come alternare nei due momenti stati di abbandono ad altri di espressione. L’ascolto e l’interiorizzazione di uno spazio altro agiscono nel nostro corpo grazie all’inspirazione, e una rosa di movimenti di occhi, testa e arti restituiscono, insieme al fiato espirato, i modi e i caratteri di ognuna/o nello stare al centro della via dei venti.

Di riflesso, alcuni temi dibattuti nella prima giornata del simposio State of Care: Ripensare (e performare) la cura come bene comune, vengono dispiegati nella loro dimensione pratica: i partecipanti, durante gli esercizi, possono avviare un conflitto con le posizioni nette determinate dall’irrigidimento posturale, stabilire nuovi centri di equilibrio fisico, sperimentare la leggerezza come disciplina del pensiero.
A seguito dello step iniziale l’invito è a disporre sul pavimento, a scelta, i contenuti delle nostre tasche e borse, per scoprire Atrio come un possibile museo temporaneo, diviso in sei categorie, indicate da cartelli affissi alle pareti: stato clinico, genere, livello culturale, orientamento religioso, etnicità, nazionalità. Ai piedi della parete, ognuna/o riposizionerà nelle corsie corrispondenti alle sezioni solo gli oggetti altrui, corredando la scelta con annotazioni su post-it. 
Questi oggetti di varia natura, perdendo momentaneamente i loro legittimi proprietari, diventano soggetti di interpretazione pubblica, dai significati variabili a seconda dell’abbinamento categorico. Il gioco di associazione logica fra strumenti d’uso quotidiano e i confini porosi delle sezioni prestabilite manomette i significati cristallizzati nelle cose, rianima la via dei venti in un movimento di ricerca delle posizioni impermanenti delle cose, trafficata da correnti di ogni provenienza: è un crocicchio di saperi, limiti, appartenenze e credenze.
Nel terzo step l’assetto del museo cambia: è possibile ristabilire un rapporto di identificazione con i propri affetti e riporli nella sezione che si preferisce, annotandone ancora la motivazione dello spostamento sui post-it.
L’assemblea è la fase conclusiva: formando una mezza luna di fronte alle teche, iniziamo a confrontarci sui significati delle cose, sulle didascalie annotate, si movimenti subiti dagli oggetti, sui valori che le categorie incarnano. 

L’intersezionalità teorizzata da Salvo Lombardo si è manifestata in più atri; abitando le possibilità di soglie e varchi intermedi ci ha permesso di riporre nelle nostre  borse e tasche le stesse, e tuttavia inedite, combinazioni di cose, oggetti e affetti, che al posto di farci distinguere ci hanno avvicinato.

Giuseppe Mongiello


Atrio. Un’indagine intorno all’arbitrarietà del segno

Le parole sono importanti e il loro uso ha un peso: Salvo Lombardo è estremamente cosciente di questo e la riflessione linguistica da lui svolta emerge in tanti e diversi aspetti del suo lavoro. Nella seconda parte del festival Le Alleanze dei Corpi, dal titolo Communities in Movement, l’artista presenta il laboratorio Atrio.

foto: Carolina Farina

L’atrio è per consuetudine uno spazio ampio dedicato all’incontro, un luogo di attraversamento, di intersezione e di transizione. Iniziamo ad abitare questo luogo condiviso con una pratica corporea cara al coreografo, La via del vento, con la quale siamo invitati a esplorare la respirazione, in particolare nella sua fase di emissione, e a osservarne la durata associandola a movimenti liberi ma guidati. 
Dopo una breve introduzione, Lombardo ci accompagna all’interno dell’idea del laboratorio, parola usata per definire un luogo in cui si sperimenta e si crea. La prima indicazione prevede una consegna individuale: ci invita a prendere i nostri oggetti personali e, compiendo una scelta di discriminazione e inclusione, posizionarne alcuni in una linea liberamente composta da ciascuno di noi. Questo esercizio di composizione, in cui ‘diamo forma’ a qualcosa, ci introduce immediatamente nel concetto di arbitrarietà: gli oggetti scelti hanno un significato estremamente personale e il modo in cui li componiamo, conferendo loro la forma di una linea, rivela il valore che noi attribuiamo loro e le relazioni che noi instauriamo tra essi.

Nella seconda fase il grado di arbitrarietà è amplificato a causa della sua condivisione, che rende possibile lo sviluppo di ogni linguaggio a partire dalla necessità di comunicare con gli altri. L’artista ci invita a uscire dalla nostra sfera individuale per andare a osservare le composizioni degli altri partecipanti. Possiamo già notare l’unicità di ogni singola installazione, realizzata con una diversa concezione spaziale e delle relazioni che la fondano, con differenti quantità e tipologie di oggetti. Se in un primo momento ognuno ha dato forma a una catena di segni, composti di significati personali e ignoti agli altri, adesso cerchiamo di ricavare dalle installazioni altrui proprio quella galassia di significati che ci è ignota, facendocela suggerire dalla forma della composizione o dalle caratteristiche degli oggetti scelti. Come facciamo a conoscere il significato di una parola o un oggetto? È quella stessa parola, quel segno o quell’oggetto a costituire l’intersezione: un punto di incontro e di convergenza di diverse persone che attribuiscono a un significante decine di significati.

Appaiono lungo il muro delle parole-contenitore, che identificano concetti e che veicolano tanti significati diversi: nazionalità, etnicità, orientamento religioso, livello culturale, genere, stato clinico. Il coreografo ci chiede di posizionare ogni oggetto appartenente agli altri partecipanti sotto la propria categoria, secondo il significato che pensiamo possa avere. In quest’azione di ricollocazione, il significato primigenio degli oggetti, conferito loro da chi li aveva esposti, viene abbandonato, e si instaura una nuova relazione tra il senso attribuito dal possessore e la categoria semantica dentro cui adesso si trova inserito. 

La fase conclusiva del workshop prevede un’analisi critica delle scelte altrui: siamo così invitati a riposizionare gli oggetti nelle categorie che riteniamo più opportune. Il continuo scambio tra parole, oggetti e significati ci porta a chiudere il laboratorio con un ricchissimo confronto di idee. Come possono le parole indicare qualcosa di così diverso per ognuno di noi? Come ci approcciamo all’appropriazione di un segno altrui? E cosa ne facciamo di quello spazio di intersezione che si crea nella condivisione dei significati? Atrio pone interrogativi che Salvo Lombardo si augura possano venire indagati anche nella nostra quotidianità: una prospettiva da integrare al proprio lavoro, oppure una pratica di pensiero che svolga un ruolo di cura, di attenzione nei confronti di noi stessi e del nostro intersecarsi al mondo.

Shahrzad M.


Questi contenuti sono parte dell’osservatorio critico Raccontare le alleanze