Infuso nel turbinio delle parole che si susseguono nei titoli lunghi ed epesegetici, c’è il distacco ironico e cassandrino – ci sia permesso il neologismo – di chi, posto in una posizione favorevole, diciamo quella nell’occhio del ciclone, riesce a osservare e anche mettere un poco di ordine nel caos che i mutamenti sociali, politici, economici portano con sé.
Questa peculiarità intitolatoria si trova nei film di Lina Wertmüller, quando cercava di portare su pellicola lo spaesamento e le contraddizioni dell’Italia del boom economico, nonché i suoi strascichi di una lunga dittatura conclusasi solo grazie a una delle due guerre più sconvolgenti della Storia. Tutto a posto e niente in ordine (1974), Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (1974), Film d’amore e d’anarchia – Ovvero “Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…” (1973), Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante da strada (1983) sono solo alcuni dei tanti titoli iconici della regista che possono venire in mente.
Ebbene, una tendenza simile si trova anche nelle opere teatrali di Matei Vişniec. Per rendersi conto delle somiglianze, ecco alcuni esempi: La storia degli orsi panda raccontata da un sassofonista che ha un’amichetta a Francoforte (1994), Riccardo III non s’ha da fare o scene della vita di Meyerhold (2001), La parola ‘progresso’ sulla bocca di mia madre suonava terribilmente falsa (2007) e La vecchia signora che fabbrica 37 cocktails molotov al giorno (2008). Che cosa ci sarà in Vişniec di così simile a Wertmüller?
Matei Vişniec nasce nel 1956 a Radauti, un paesino del nord-est della Romania, appena sotto il confine con l’Ucraina. L’anno non lascia spazio a fraintendimenti: la Romania è uno stato comunista, ad appena nove anni dall’inizio della dittatura di Ceaușescu. Ed è sotto il suo regime che Vişniec si forma e vive fino al 1987, quando abbandona il paese per trasferirsi in Francia, dove ancora oggi risiede e lavora come poeta, scrittore, giornalista e, ovviamente, drammaturgo. Antesignano delle grandi migrazioni degli est-europei negli anni Novanta del post-muro, Vişniec è fra i primi a esperire il tanto sognato Occidente, ed è quindi fra i primi a comprendere che il valico dell’apparentemente inespugnabile cortina di ferro non è un passaggio dal totalitarismo alla libertà, bensì un semplice cambio di dittatura – parole sue. Lasciata quella di Ceaușescu, infatti, Matei Vişniec si trova sotto un regime molto peggiore, silente e subdolo. Dice il drammaturgo in un’intervista pubblicata nel 2009 su Prove di drammaturgia:
Nei paesi occidentali, è molto più difficile denunciare un lavaggio del cervello che viene operato dalla pubblicità, dalla moda, dall’esibizione ossessiva di mille prodotti che dobbiamo comprare e di cui non abbiamo bisogno. È molto difficile parlare d’una manipolazione che si serve delle informazioni più che della censura.
La denuncia dei sistemi di oppressione dell’est e dell’ovest, l’invariabilità nel mutamento, il passaggio dalla padella alla brace, sono temi cari al teatro di Vişniec e vengono osservati, sviluppati e presentati ogni volta in maniera diversa nei testi di questo autore tanto prolifico quanto rappresentato. Fra questi abbiamo scelto di occuparci, nel nostro focus sulle drammaturgie diffuse, di Attenzione alle vecchie signore corrose dalla solitudine.
Il testo, scritto nel 2003 e messo in scena in Francia, Grecia e anche in Italia, si apre, nell’edizione francese del 2004, con un nota di Matei Vişniec all’ipotetico regista che deciderà di rappresentare il dramma. A lui l’autore lascia piena autonomia nello scegliere e organizzare le scene a seconda delle proprie opzioni estetiche. E già compaiono, alle soglie del testo, due aspetti importantissimi della drammaturgia di Vişniec. Il primo, forse quello più noto, è la scrittura per quadri e il rifiuto, decisamente post-drammatico, della narrazione unica e coesa di una storia, tecnica che Vişniec utilizza in diverse sue opere, senza però abbandonare del tutto le strutture più classiche. Chi avesse familiarità con l’autore ricorderà forse il suo dramma a quadri più famoso, il Teatro decomposto o l’uomo-pattumiera, testo da cui ancora oggi i registi prendono scene a piene mani per innestarle su altre drammaturgie dello stesso. Su questo torneremo più avanti per un piccolo confronto con Attenzione alle vecchie signore corrose dalla solitudine.
Il diretto riferimento al o alla regista allarga il testo, prima ancora che inizi, a una realtà molto più ampia di quella che le parole possono descrivere, inserendolo direttamente nel processo teatrale e produttivo. Tale consapevolezza nasce in Vişniec durante gli anni di lavoro in Romania, quando giornali, informazione, educazione venivano controllati dal regime, e la scrittura, soprattutto quella destinata alla stampa, rappresentava uno dei pochi spazi di libertà. Leggere un romanzo o una poesia con più o meno velate spinte sovversive può accendere un animo che, chiuse le pagine, si trova nuovamente solo in una società che isola e stronca l’insurrezione. Portare a teatro le stesse parole, scritte da un autore contemporaneo, è un’operazione che può provocare identici effetti, moltiplicati per una platea intera: significa aprire strade alla rivoluzione.
Per questo, con il passare del tempo, le opere degli scrittori viventi venivano non solo censurate ma addirittura proibite. Era invece concesso al teatro di mettere in scena i grandi classici. Del resto, cosa si poteva nascondere dietro parole stampate secoli prima? Vişniec sperimenta così sulla propria pelle l’opera dei registi che, sotto Ceaușescu, hanno il compito di indirizzare quello che il passato ha consegnato loro verso ciò di cui il presente necessita. È questo clima e questa pratica a formare il suo sguardo di autore.
Questa disponibilità massima al dialogo con la regia favorisce più che mai le sperimentazioni nelle varie messe in scene, spesso molto significative. È il caso di Beppe Rosso, che nel 2013 ha diretto la compagnia Acti – Teatri Indipendenti in una versione, realizzata durante una cena svolta in una chiesa sconsacrata, di Attenzione alle vecchie signore corrose dalla solitudine. Partendo probabilmente da due quadri della pièce, che vedono entrambi una cameriera di un bar-ristorante in un monologo/dialogo con avventori silenti (se non addirittura inesistenti), Russo generalizza l’alienazione portando gli attori in mezzo al pubblico, i personaggi in mezzo alla realtà, la finzione scenica nello svolgimento del più celebre rito sociale: il pasto.
Anche sui personaggi dei drammi di Vişniec si potrebbe dire molto. Si tratta di figure situazionali cresciute assieme all’autore Vişniec, che tornano nel corso delle sue opere: militari, ciechi, padri, madri, figli e figlie, tutti e tutte raramente indicati con un nome proprio. Non hanno background, sono funzioni universali, che vivono il momento della scena senza uno sviluppo personale differente da quello che ciascuna madre, ciascun padre, ciascun militare e ciascun figlio o figlia che li osserva nell’atto della rappresentazione potrebbero avere. Pièce dopo pièce, anno dopo anno, questi personaggi si arricchiscono soprattutto di richiami alle contingenze che il Vişniec giornalista incontra durante la sua vita e che però, sul palco, egli stesso epura, verso l’universalità dei concetti.
In quest’orizzonte si inserisce Attenzione alle vecchie signore corrose dalla solitudine, organizzato in quadri e suddiviso in tre parti: Frontiere, Agorafobie, Deserti. Nonostante la struttura, i titoli indicano chiaramente il movimento della narrazione: dalla caduta dei regimi comunisti verso una solitudine totale, quella del deserto, che non si realizza ad est ma nella babele del mondo occidentale, dove la strabordante quantità di individui e un’analoga, ma apparente, quantità di libertà innescano più ansie che lo spazio stretto della dittatura.
Il passaggio ideologico è perfettamente reso anche a livello testuale. I quadri della prima parte, per quanto ammicchino al teatro dell’assurdo tanto caro a Vişniec, non raggiungono le vette di vacuità ed incomprensione che ci saranno nei dialoghi dei due movimenti successivi. Attraverso le conversazioni dei suoi personaggi, anche grazie all’uso di un linguaggio fortemente lirico, Vişniec indica che l’essere umano, nonostante sia appena uscito dalla tragedia della dittatura prima e della guerra nei Balcani poi, è ancora portatore di un valore: un valore frustrato, abusato, abbandonato, violentato dalle vicissitudini storiche, ma pur sempre presente – tanto nelle vittime quanto nei carnefici. E i personaggi che dialogano si riconoscono vicendevolmente questo valore nel semplice atto di accogliere ciò che l’altro dice loro e di posizionarsi, rispondendo, sul suo stesso livello, anche in presenza di quello che potrebbe sembrare assurdo e alogico.
da Aspetti che passi la canicola (inserito nel primo movimento: Frontiere)
LA SENTINELLA DEI DIRITTI DELL’UOMO Lei è qui alla frontiera dei diritti universali dell’uomo. Se farà ancora un passo, entrerà illegalmente nel territorio dei diritti universali dell’uomo, universalmente riconosciuti e universalmente rispettati. Se avanzerà ancora di un passo, entrerà illegalmente sul territorio della dignità umana assoluta, universalmente valida e universalmente accettata. Non va bene entrare illegalmente nel territorio dei diritti assoluti dell’uomo e della dignità umana assoluta. Ma noi la aiutiamo a entrare legalmente sul territorio dei diritti assoluti dell’uomo e della dignità umana assoluta […] Ha un passaporto valido?
LA DONNA CHE PORTA UN BAMBINO TRA LE BRACCIA Io non ho un passaporto. Il mio unico passaporto è il mio bambino che inizia ad avere freddo. Il mio unico passaporto è il mio bambino che comincia ad avere fame. I fiocchi di neve, per raggiungere la terra, non hanno bisogno di un passaporto.
LA SENTINELLA DEI DIRITTI DELL’UOMO Ma non posso registrarla come fiocco di neve. Noi siamo un’amministrazione che rispetta regole precise. E una di queste regole dice che tutti devono avere le carte in regola. Dunque, per noi, un essere umano equivale a un documento in regola.
LA DONNA CHE PORTA UN BAMBINO TRA LE BRACCIA Oh, ma lei ha veramente un modo poetico di affrontare le cose! Un essere umano è un foglio di carta pieno di segni, a volte sconosciuti. Questo è davvero molto poetico. È per questo che le propongo di registrarmi come fiocco di neve. Già, il fiocco di neve è bianco come la carta. […] E poi, guardi che bel testo scrivono i fiocchi di neve mentre cadono dal cielo!
LA SENTINELLA DEI DIRITTI DELL’UOMO Adesso è troppo tardi per registrarla come fiocco di neve. L’inverno è passato. Comincia la stagione delle piogge. Non verrà mica a chiedermi adesso di registrarla come una goccia di pioggia o un nubifragio?
LA DONNA CHE PORTA UN BAMBINO TRA LE BRACCIA Ma sì. Consideri che il mio passato è un nubifragio.
A partire dalla seconda parte, Agorafobie, questa qualità della presenza umana va sempre più a smorzarsi, il lirismo lascia il posto al grottesco e all’assurdo, ricordando molto l’opera di Ionesco, autore molto amato da Vişniec e con le stesse “patrie” di nascita e di adozione.
Da questo momenti i personaggi condividono la scena e l’azione scenica, ma è come se ciascuno di loro guardasse gli eventi da un punto di vista non solo incomprensibile dall’altro, ma pure inaccessibile. È l’assurdo, che se prima investiva principalmente la situazione in cui i personaggi agivano, ora infetta la capacità di comunicazione dei personaggi. Questi si pongono ricorsivamente le stesse domande per cogliersi reciprocamente in fallo, per smentire il valore della verità altrui, insicuri di ciò che c’è fuori da loro ma sicuri che probabilmente non ci sia nulla davvero degno di fiducia. Tutto è messo in discussione perché i punti di vista, per quanto generici possano apparire, non sono destinati ad incontrarsi, nemmeno nella piana della bidimensionalità.
da Le grandi maree (inserito nel terzo movimento: Deserti)
LA RAGAZZA È qui anche lei per le grandi maree?
IL FOTOGRAFO Sì.
LA RAGAZZA Per scattare delle foto?
IL FOTOGRAFO Sì.
LA RAGAZZA Lo sapevo. L’ho vista in paese. Ha una macchina fotografica per ogni soggetto che vuole fotografare.
IL FOTOGRAFO Ho soltanto questa.
LA RAGAZZA Ma no. Ho visto la sua auto. Il cofano è strapieno di macchine fotografiche.
IL FOTOGRAFO Non è vero.
LA RAGAZZA Arrivederci. (Si siede su una roccia). Sì, vivo in paese. Ma c’è troppa gente oggi in paese. Tutti vengono a vedere le grandi maree. Hanno organizzato una festa patronale. È ridicolo. Perché vogliono tutti vedere le grandi maree?
IL FOTOGRAFO Perché no?
LA RAGAZZA Ci saranno dei fuochi d’artificio. È ridicolo. Vuole fotografare anche i fuochi d’artificio?
IL FOTOGRAFO No.
LA RAGAZZA Sono belli i fuochi d’artificio.
IL FOTOGRAFO Sono qui per le maree.
LA RAGAZZA Quanto la pagano?
IL FOTOGRAFO Mi pagano se riesco a vendere.
Pausa
LA RAGAZZA Non sono male neanche i fuochi… (Pausa). L’odore delle salsicce grigliate arriva fino a qua. Non è bello. (Pausa). Come ha saputo che le grandi maree sono più alte qua che nel paese?
IL FOTOGRAFO È vero?
LA RAGAZZA È vero. Ma come l’ha saputo?
IL FOTOGRAFO Non lo sapevo. Ho cercato una baia più tranquilla, tutto qui.
LA RAGAZZA Ma no, mi ha seguita.
IL FOTOGRAFO Ma assolutamente no.
LA RAGAZZA Questa, è la mia baia. (Pausa). Se non mi crede può andare a chiedere alla gente del paese. Nessuno si avvicina a questa baia in mia assenza. Non voglio che le mie grandi maree siano fotografate. Ha capito?
IL FOTOGRAFO Sì.
LA RAGAZZA E non va via?
IL FOTOGRAFO No.
LA RAGAZZA Allora la spingerò nel mare.
Si alza e si fionda come un felino sul fotografo.
IL FOTOGRAFO Ma la smetta! È pazza?
La ragazza È la mia baia!
IL FOTOGRAFO Senti, ragazzina, come ti chiami?
LA RAGAZZA Senti, ragazzina, come ti chiami? Che domanda è? Lei non è nemmeno bello.
IL FOTOGRAFO Un fotografo non deve essere bello.
LA RAGAZZA Lei è brutto, e la sua macchina fotografica pure. È pesante ed è brutta. Come crede di poter fotografare le grandi maree con una macchina così brutta? (Gli strappa la macchina). Se ne vada, se no butto la sua macchina nel mare.
IL FOTOGRAFO D’accordo, me ne vado. Arrivederci.
Lei gli rende la macchina. Lui si allontana un po’.
LA RAGAZZA Arrivederci. (Pausa. Lui sistema la macchina fotografica su un treppiede). Io sono le grandi maree. (Pausa. Lui la guarda dall’obiettivo). Ha sentito? (Pausa). A mezzanotte avremo i piedi nell’acqua.
IL FOTOGRAFO Sale così in alto?
L’immagine delle maree e l’elemento dell’acqua sottolineano uno snodo fondamentale nella poetica di Vişniec, che è il passaggio dall’“uomo-pattumiera” dei primi testi a quella dell’“uomo-palude” degli ultimi. L’essere umano non è più un oggetto di scarto abbandonato vicino a un cassonetto, ma un luogo di raccolta integrato nel sistema: un luogo chiuso, di scarsa profondità, in cui tutte le informazioni ristagnano, in una piattezza di vedute che affianca semplicemente i dati del reale senza essere più in grado di stabilire gerarchie e applicare filtri.
Alla pratica monologante dell’uomo-pattumiera, simbolo ideale del Teatro decomposto, si sostituisce un dialogo vuoto, che, con maggiore forza del soliloquio, evidenzia l’isolamento di chi vive circondato da individui coi quali si mette in comunicazione quasi per forza di inerzia, parlando senza dirsi nulla.
A significare ancora di più questa trasformazione dell’umano, Matei Vişniec – e in questo si ricollega perfettamente con l’autore cardine del nostro focus, Kossi Efoui – suggerisce ai futuri registi in più di una ricorrenza, nella sua lunga carriera da drammaturgo, di utilizzare burattini e marionette. Principalmente questa indicazione avviene per le scene corali, quindi come mezzo per rendere la massa senza dover ricorrere ad un elevato numero di attori. Ma c’è sempre qualcosa di particolare nelle masse che Vişniec indica. Sono, ad esempio, i malati psichiatrici nell’opera La storia del comunismo raccontata ai malati di mente, oppure, in Attenzione alle vecchie signore corrose dalla solitudine, i morti del quadro Il ritorno a casa. Come già in Efoui, anche in Vişniec la marionetta entra in gioco per quei gruppi di persone ai margini della società. Con una inquietante previsione: che forse, allargandosi la nostra società sempre di più, un giorno il centro sarà lo stesso oggetto del margine.
da Attenzione alle vecchie signore corrose dalla solitudine (quadro di apertura del secondo movimento: Agorafobie)
L’ESPERTO IN STAGE DI ACCATTONAGGIO Buongiorno, signori e signore. Grazie di aver scelto la nostra agenzia che ha adesso, e sono fiero di dirlo, una buona trentina d’anni d’esperienza.
Noi partiamo dal principio che bisogna imparare a nuotare prima che il destino vi butti in acqua. È per questo, signori e signore, che la nostra agenzia vi propone uno stage di accattonaggio completo e adeguato alla personalità di ciascuno.
Non vi diremo che andrete a ritrovarvi un bel giorno nella merda, sul gradino più basso della società. Ma se vi ritrovaste un giorno nella merda, sul gradino più basso della società, sarà utile saper mendicare in una maniera efficace.
Gianmarco Marabini
I testi sono tratti da Attenzione alle vecchie signore corrose dalla solitudine inserito in Matei Vişniec, Storia del comunismo raccontata ai malati di mente e altri testi teatrali, edito nel 2012 da Editoria & Spettacolo.
Il testo è tradotto da Pascale Aiguier, Davide Piludu e Giuseppe Salidu.