Ascoltare il proprio passo, riconoscerne ritmo e variazioni, equilibri, marcature. Si inizia da qui in una domenica pomeriggio del festival Il giardino delle Esperidi, che porta nella località di Figina decine di persone. Siamo intorno a una cascina, dove si possono comprare mirtilli e altre verdure provenienti dall’orto, e dove si può partecipare, oggi, a un laboratorio condotto da Matteo Serafin “Mentre cammini riposi”. Ci si presenta e si inizia a camminare, prima in cerchio, poi nello spazio, da soli o in coppia, incontrandosi e ascoltando la relazione tra piedi, gambe, braccia, schiena. Sono gesti del quotidiano, che raccontano molto del nostro modo di attraversare il paesaggio. Poi, si procede in fila indiana. L’attenzione si sposta dall’io all’intorno: si cerca di non guardare per terra, si sta in silenzio, si ascolta e si attiva uno sguardo il più possibile aperto, tutti allo stesso ritmo.
Per chi dopo qualche minuto si incamminerà nello spettacolo Arianna e Teseo questo laboratorio è propedeutico a un percorso che andrà sempre più in profondità, penetrando storie e paesaggi che intrecciandosi evocano nuovi segni e nuovi sguardi. La performance itinerante ideata e diretta da Michele Losi, che coinvolge, oltre a Pleiadi Art Productions, Scarlattine Teatro e Fattoria Vittadini, è il progetto di punta della linea di ricerca su teatro nel paesaggio di questa edizione di festival.
Anche in Arianna e Teseo il cammino è in fila indiana, spesso in due file che si incontrano, creando continuamente nuove relazioni tra gli spettatori e generando, di conseguenza, nuovi spazi scenici. Il “soggett-oggetto” infatti diventa ciò che è guardato: che sia un panorama visto dall’alto, una collina osservata dalla valle, una donna che cammina o un uomo tra gli alberi. A tenere tutto insieme un filo rosso, il filo di Arianna, e le due file indiane che avanzano e disegnano territori, segnano comunità, innescano relazioni. Sono questi gli elementi del camminare, che legano l’uno all’altro i luoghi e i frammenti della drammaturgia, in un labirinto spaziale e temporale in cui la consequenzialità è data dal percorso.
Per questo i momenti di passaggio, in cui si aprono nuove visuali e si scoprono spazi abitati dalla performance, sono più forti delle scene stesse, che mescolano danze, musiche e parole. Il rapporto con il mito diventa pretesto che si potrebbe trattare anche con più libertà, soprattutto per quanto riguarda riferimento ai luoghi. Proprio perché è così stretto il rapporto con l’ambiente ci circonda, suona strano, ad esempio, sentire evocare le isole e il paesaggio marino della Grecia così lontano da quello della campagna di Campsirago.
In queste settimane lo spettacolo, che si nutre di un’attenta composizione nel paesaggio, sta girando diversi luoghi di Italia, con una reinvenzione del proprio contesto, dalla Liguria all’Umbria fino alla Puglia. Il camminare si fa quindi azione artistica per eccellenza, e l’attraversamento di diverse soglie visive motore generativo per diventare parte di un luogo. Camminare e attraversare, azioni che accompagnano tutto il festival, particolarmente attento all’abitare siti inaspetatti.
Come avviene negli spettacoli mattutini che si svolgono la domenica a Bestetto. Qui lo spazio scenico è una yurta, una tradizionale tenda mongola in cui si entra dopo aver attraversato un giardino, essere passati sotto un arco di stoffa o di legni intrecciati, nel passaggio da ambienti di dimensioni diverse che fanno scoprire i luoghi con spostamenti percettivi. In un ambiente intimo gli spettacoli per bambini di Scarlattine Teatro (Dall’altra parte) e Riserva Canini (Little Bang) accompagnano con grazia il pubblico dentro a temi complessi come la separazione o la nascita dell’universo.
Attraversamento, racconto, archetipo, percezione, incarnare, comunità sono alcune delle parole emerse durante il convegno che aveva aperto questa edizione del Giardino delle Esperidi e su cui abbiamo riflettuto (potete leggere qui l’approfondimento di Maddalena Giovannelli e Lorenzo Donati). Nelle azioni del festival questi termini hanno assunto diverse forme, legate ai linguaggi artistici e alla creazione di comunità. Camminando per poi fermarsi e ripartire ancora, in una esplorazione del teatro come strumento privilegiato di un’interrogazione sul senso del luogo.
Francesca Serrazanetti
Questo contenuto è pubblicato anche su Altre Velocità e fa parte di un progetto condiviso di osservazione e ricerca “Teatro e Paesaggio” in collaborazione con Campsirago Residenza