A fuoriuscire dai testi che Bernard-Marie Koltès ha consegnato alla storia del teatro contemporaneo è un ritratto della realtà impietoso, eppure carico di amore per la compagine umana, colta nelle sue  contraddizioni. I personaggi che animano le drammaturgie dello scrittore francese, nato nel 1948 a Metz, sono così individui marginali, reietti, a volte folli. Queste figure emergono attraverso un taglio chiaroscurale, capace di illuminare pieghe dolorose e incomprensibili dell’animo umano mai celate o mitigate, e di mostrare prospettive inedite del tempo e del luogo in cui si collocano. La scrittura di Koltès obbliga perciò il nostro tempo a fare i conti con l’altro da sé, con la fuoriuscita dalla norma: e proprio per questo, il presente teatrale continua ad attraversarla, come accaduto in occasione del Progetto Koltès, presentato durante l’edizione 2024 di B.Motion e incentrato su tre diverse riscritture dialettali di La notte poco prima della foresta, e del Roberto Zucco realizzato da Giorgina Pi, che ha debuttato al Romaeuropa Festival a fine ottobre.

Roberto Zucco: un inevitabile incontro con il tragico

Un eroe del nostro tempo: così Vasco Pratolini intitolò il romanzo pubblicato nel 1947 e ambientato nell’anno liminale che fu il 1945. La parola “eroe”, però, inquadra soltanto ironicamente il protagonista: Sandrino è infatti un antieroe, involontario erede della cultura squadrista e dell’esercizio della violenza come forma di affermazione di sé. I confini che definiscono la sua morale, tuttavia, sono più sfumati di quanto possa sembrare: nella prefazione all’edizione Rizzoli, Goffedo Fofi redarguisce i lettori, descrivendo il romanzo come «una storia dove il bene e il male hanno volti precisi, anche il bianco e il nero sono spesso imperfetti». Il ragazzo ha infatti sedici anni, è cresciuto nel mito del padre fascista scomparso e incontra, forse troppo tardi, figure salvifiche. C’è qualcosa di Sandrino nel protagonista del Roberto Zucco, ispirato al giovane italiano Roberto Succo; Koltès lo scrive nel 1988, l’anno in cui il ragazzo diciannovenne si suicida dopo aver ucciso i suoi genitori e dopo aver commesso diversi altri crimini: omicidi, stupri, evasioni, furti.

Roberto Zucco, foto di Greta De Lazzeris

La magnetica e inquietante scrittura di Koltès emerge nelle sue tinte più fosche, ma anche nei suoi contrasti più marcati, nella messinscena pensata e realizzata da Giorgina Pi. La regista romana ha mostrato nelle sue ultime creazioni un interesse nei confronti delle figure del mito e degli eroi tragici, rileggendo la complessità che li contraddistingue nei suoi riverberi contemporanei. E lo stesso accade anche per l’omicida protagonista di questo lavoro: Zucco viene infatti innervato dalla stessa ambigua stratificazione che appartiene a Tiresia, Filottete, Pilade. La consonanza tra il serial killer e l’immagine dell’antieroe è già presente nella drammaturgia originale, ma viene abilmente evidenziata da alcune scelte: Valentino Mannias incarna un Roberto Zucco di cui riesce a rendere, con grande efficacia, le oscillazioni tragiche del destino, tra follia e razionalità, tra accecamento e rivelazione. Mannias dà corpo e soprattutto voce all’omicida facendo proprio un tono spento, annientato, un incedere dialogico quasi poetico nel ritmo. In Zucco/Mannias si alternano momenti di furia omicida, scatenata dalla forza del caos, ad altri di visionarietà quasi oracolare. In questi istanti di lucidità profetica prova a mostrare alle persone che lo circondano la propria condizione di estrema solitudine e marginalità, condivisa da molti intorno a lui ma inconsapevoli però del loro stato. Le figure che gravitano intorno a al ragazzo costituiscono le voci di un coro dissonante e privo di un orizzonte etico, come si vede nella scena ambientata nel parco: nessuno dei presenti agisce per salvare la donna (Monica Demuru) presa in ostaggio da Zucco, né tanto meno il figlio quattordicenne di lei. Ognuno è concentrato sul mettere in salvo sé stesso e sul puntare il dito contro l’inazione altrui. Anche la madre dell’omicida, nella seconda scena dello spettacolo, rievoca il tragico destino che spetta a suo figlio poco prima che lui la uccida: «chi te l’ha messo un tronco d’albero sulla tua via? […] la disgrazia viene quando vuole». E poi, nel finale, la morte di Zucco sembra alludere alla tragedia antica: il momento del trapasso del ragazzo rimanda alla fuga di Medea sul carro del Sole, dando così luogo all’unica scena carica di luce in tutto lo spettacolo. Fino a quel momento, infatti, tutti i personaggi hanno abitato lo spazio muovendosi nei sobborghi, nelle case, nei locali bui, polverosi, offuscati (ideati dalla stessa Giorgina Pi) per cercare di annullare in qualche modo la propria esistenza. La scomparsa reale, però, tocca tra loro solo all’omicida, determinato al raggiungimento di un totale annientamento sociale ed esistenziale della sua persona.

Roberto Zucco, foto di Greta De Lazzeris

Con Roberto Zucco Giorgina Pi afferma, e stratifica sempre più, un proprio linguaggio scenico ben codificato, attraverso cui filtrare le drammaturgie messe in scena. Lo fa a partire dalla scelta di uno stile recitativo che alterna toni sommessi e strascicati a momenti di vocalità più esplosiva e caricata, demandato ai singoli attori e attrici. Se Mannias, Demuru e Andrea Argentieri (corpo e voce plastica di diversi personaggi minori, da lui però ben caratterizzati) trovano una propria cifra interpretativa all’interno di questo spazio di ambigua oscillazione, non accade lo stesso per la famiglia straniera, composta dalla ragazzina violentata da Zucco e dai suoi genitori e fratelli abusanti e deleteri. Il nucleo, pur cercando una polifonica restituzione dell’orrore che in varie forme attraversa, rischia invece di fossilizzarsi sull’unico registro di un insistito pathos. Diverso è invece ciò che accade per l’impianto scenografico e per la cura dell’immagine: i numerosi cambi a vista sorprendono frequentemente chi osserva, ridisegnando in velocità e con grande efficacia lo spazio in cui si muovono i personaggi. La presenza di elementi scenografici che si ripetono da quadro a quadro crea una consonanza di ambientazione e atmosfera, capace di tenere sapientemente insieme l’immersività dei luoghi e il loro finzionale farsi e disfarsi continuo.
Ed è proprio questa atmosfera opprimente di impossibilità di fuga reale da una condizione tragica a rimanere incollata nella percezione dello spettatore anche fuori dalla sala. L’invito rivolto al pubblico non è però quello di liberarsi il prima possibile di questa angoscia ma di ascoltarla, di darle una forma e, così, tentare di contrastare l’isolamento e la marginalizzazione che alimentano un’esondazione incontrollata della violenza e della catastrofe.

Nuove traduzioni per rileggere il presente: il Progetto Koltès di B.Motion

Un monologo come un’unica emissione di fiato, una vera e propria partitura musicale ritmata da virgole, trattini e da un solo punto fermo: La notte poco prima della foresta, scritto da Koltès nel 1977, è la storia di un incontro impossibile, di una voce che non accetta più di essere tacitata.
Nell’oscurità di un quartiere periferico della città, un io narrante investe l’interlocutore silente con un flusso ininterrotto di parole, riflesso di un’urgenza di confronto e dialogo, di incontro con qualcuno che possa comprendere, accogliere, ascoltare; è una figura straniera, emarginata dal contesto sociale cittadino in cui si ritrova a vivere.

Foresto, foto di Giancarlo Ceccon

Proprio intorno ai concetti di estraneità, marginalità e solitudine hanno orientato il loro processo i tre artisti coinvolti nel Progetto Koltès, seconda tappa del percorso di traduzione della drammaturgia contemporanea fortemente voluto dal curatore Michele Mele e avviato dal festival B.Motion di Bassano del Grappa (21 agosto – 1 settembre 2024). Il focus è un’interrogazione sull’atto traduttivo, in tutte le sue possibili accezioni: La notte poco prima della foresta è stato dunque traslato non in lingua italiana, bensì nei dialetti d’appartenenza di tre diverse personalità artistiche. La compagnia Babilonia Teatri ha dunque approntato una traduzione della drammaturgia in veronese, Domenico Ingenito in napoletano e Giuseppe Massa (della compagnia Sutta Scupa) in palermitano. La concretezza e la vitalità proprie del dialetto sono state, per tutti, un antidoto al rischio di “classicizzare” Koltès, restituendone (come spesso accade) un’immagine distante e vagamente fané.
Ciascuno degli artisti coinvolti ha scelto una traiettoria differente per declinare la condizione di “straniero” della voce narrante. Per Babilonia Teatri l’approccio alla traduzione è stato influenzato dall’incontro a Pergine Festival con la comunità sorda del luogo: protagonista del monologo è diventato dunque il performer Lis sordo Daniel Bongioanni, affiancato da Enrico Castellani, contraltare vocale del racconto. Foresto è il titolo scelto per lo spettacolo, termine che (oltre a riecheggiare l’originale) non significa in dialetto veronese solo “straniero”, ma corrisponde a un più ampio concetto di “diversità”, non conformazione alla norma. Il testo del drammaturgo francese, nella versione realizzata da Babilonia Teatri, viene rispettato quasi letteralmente; ma grazie alla presenza in scena del corpo di Bongioanni, le parole assumono nuovi riverberi, e viene reso manifesto e tangibile il giudizio sociale di cui racconta Koltès e che si colloca nello sguardo, cioè nel modo in cui la diversità viene osservata.

Nuttata, foto di Giancarlo Ceccon

Nuttata è invece il titolo della versione realizzata da Domenico Ingenito, attore, regista e drammaturgo napoletano di origini brasiliane, e nasce a sua volta un incontro, o meglio, da diversi incontri: racconta Ingenito di aver fatto leggere ai «ragazzi di vita» della stazione Garibaldi di Napoli stralci di La notte poco prima della foresta e di aver registrato le loro voci, utilizzando le storpiature, gli adattamenti e le loro espressioni dialettali per filtrare le parole del drammaturgo francese. Una scelta affascinante quella di Ingenito, nata anche dal desiderio di porsi in continuità con il lavoro svolto da Enzo Moscato, incentrato sulla parola dialettale intesa come elemento vivo e pulsante. Nella restituzione in forma di lettura (in scena lo stesso Ingenito, fogli alla mano) è emersa una vitalità profonda, capace di rilevare con efficace prepotenza un aspetto fondamentale del testo troppo spesso accantonato: la centralità del desiderio come forma di resistenza alla violenza del mondo.

Canzuna segreta, foto di Giancarlo Ceccon

Canzuna segreta di Giuseppe Massa ha invece posto in rilievo la dimensione musicale del lavoro di Koltès, realizzando la sua versione palermitana insieme a Dario Mangiaracina – parte del duo La Rappresentante di Lista – che ne ha curato le musiche e l’accompagnamento live. Massa ha tradotto il testo concentrandosi anche su un ulteriore nucleo latente, cioè il senso di estraneità e solitudine che si può provare in una città, il disagio percepibile nell’inabissarsi nella massa metropolitana.

I lavori sono stati restituiti al pubblico non come spettacoli (solo Foresto, già perfezionato in forma compiuta, è stato presentato anche altrove), ma come tappe di una vera e propria bottega traduttiva. Una simile scelta ha permesso agli spettatori di sbirciare con sguardo obliquo le diverse processualità, di intravvedere traiettorie future, di leggere in filigrana i differenti metodi e approcci drammaturgici da uno stesso testo di partenza. In questa prospettiva, Progetto Koltès è stato un’occasione di riflessione intorno all’atto traduttivo, e alle sue ampie implicazioni linguistiche e sociali. Il “trasferimento” di un capolavoro da un epoca all’altra, da un territorio all’altro, da un dialetto all’altro, è di fatto l’occasione per un doppio approfondimento verticale: quello sul testo d’origine, ma anche – e forse ancora di più – sulla società e i contesti che quel testo accolgono.

Alice Strazzi


in copertina: foto di Greta De Lazzeris

ROBERTO ZUCCO
di Bernard-Marie Koltès
traduzione di Francesco Bergamasco
adattamento, regia, scene e video Giorgina Pi
con Valentino Mannias
e Andrea Argentieri, Flavia Bakiu, Monica Demuru, Gaia Insenga, Giampiero Judica, Dimitrios Papavasilìu, Aurora Peres, Alessandro Riceci, Kevin Manuel
costumi Sandra Cardini, Gianluca Falaschi
colonna sonora originale Valerio Vigliar
ambiente sonoro Collettivo Angelo Mai
luci Andrea Gallo
assistente costumi Anna Varaldo
produzione Teatro Nazionale di Genova, Teatro Metastasio di Prato e RomaEuropa Festival
un progetto di Bluemotion
in accordo con Arcadia & Ricono Ltd per gentile concessione di François Koltès

FORESTO
cura e regia Babilonia Teatri
con Enrico Castellani e Daniel Bongioanni
traduzione in dialetto veronese Enrico Castellani
traduzione LIS Daniel Bongioanni
musiche live e sound design Giovanni Frison
light design Luca Scotton
consulenza scientifica Jean Paul Dufiet
interpreti LIS Andrea Consolaro, Luca Falbo
consulenza accessibilità Ass. Fedora
organizzazione Serena Pallanch
co-produzione Pergine Spettacolo Aperto, OperaEstate Festival, Teatro Scientifico di Verona
con il sostegno di Fondazione Caritro
in collaborazione con l’Università degli studi di Trento

NUTTATA
traduzione e adattamento de La nuit juste avant les forêts di Bernard-Marie Koltès
a E. M., per la grazia che mi ha donato
a E. M., per le parole che ci ha donato
a E. M., per la libertà e irriverenza che ci ha donato
a E.M., per tutto quello che – almeno io- non so dire ancora con le parole
traduzione e scrittura Domenico Ingenito
lettura Domenico Ingenito
coproduzione Interno5, OperaEstate Festival

CANZUNA SEGRETA
da La nuit juste avant les forêts di Bernard-Marie Koltès
traduzione in siciliano e regia Giuseppe Massa
musiche Dario Mangiaracina
con Dario Mangiaracina, Giuseppe Massa
aiuto regia Giovanni Fardella, Nancy Trabona
audio\luci Vittorio Di Matteo
ass. alla produzione Elena Amato