testo di Peter Handke
progetto di Lea Barletti, Werner Waas
visto a Teatro i di Milano_ 22-27 febbraio 2017.

SOCRATE: Quando diamo denominazioni con la parola che cosa facciamo?
ERMOGENE: Non so cosa rispondere.
SOCRATE: Non insegnamo qualcosa gli uni agli altri e distinguiamo le cose come stanno?
ERMOGENE: Certo.
SOCRATE: Il nome dunque è un mezzo per farci cogliere l’essenza come fa la spola con il tessuto?
ERMOGENE: Sì.

Sulla natura del linguaggio, e sul suo rapporto con la realtà delle cose si sofferma Platone nel Cratilo, attraversando il ruolo delle convenzioni sociali e dell’abitudine al dire.
Sugli stessi temi si interroga, molti anni dopo, il drammaturgo austriaco Peter Handke, approdato in Italia grazie agli sforzi di PAV per la circuitazione di testi europei sulla scena italiana: il titolo, Autodiffamazione, contiene in sè un tributo al potere della parola, e alla sua capacità di rappresentare e distorcere.
Si può raccontare una vita, una vita intera, con una serie di locuzioni verbali accostate una dietro l’altra? Con il semplice elenco delle azioni compiute declinate al passato prossimo? Tentano la sfida Lea Barletti e Werner Waas, lasciando allo spettatore il compito di leggere tra le pieghe delle frasi, di coglierne il paradosso, la dimensione artefatta e allo stesso tempo la verità: a partire da “sono stata partorita”, arrivando a “non sono diventato quello che sarei dovuto diventare”, la parola traccia giochi meta-linguistici ma soprattutto incide una amarissima e lucida parabola umana, biografica, sociale.
Barletti e Waas consegnano al pubblico quelle frasi-testamento come se le avessero scritte in prima persona, come se le avessero cucite su quel corpo nudo che mostrano in silenzio al pubblico nei primi (bellissimi) minuti dello spettacolo.
Si offrono al nostro sguardo, assaporando tutta l’inadeguatezza e l’ambiguità di quel linguaggio che hanno scelto di utilizzare: un codice inevitabilmente arbitrario, che si rifrange in due lingue (italiano e tedesco) e richiede dunque una traduzione su sovratitoli per essere inteso, per garantire una adeguata comunicazione interpersonale. È una parola che ingabbia e costringe (innumerevoli, nel testo, i verbi legati al campo semantico di “obbligare”), e che restituisce un’immagine di noi che vorremmo più flessibile e meno apodittica, eppure ci inchioda a quello che siamo stati, abbiamo fatto, siamo diventati.
Non c’è presente e non c’è futuro nel sistema dei tempi di Autodiffamazione: solo il passato di quello che è già avvenuto, e non si può cambiare. Come davanti a un laico giudizio post-mortem, su un palco vuoto come ogni luogo metafisico, Barletti e Waas si confessano, con disarmante sincerità e senza desiderio di assoluzione: non ammiccano, non desiderano piacere, non dimostrano. Ma ci regalano una riflessione  – non retorica, non autocompiaciuta – sulla parola scenica: una parola che si fa atto nel momento stesso in cui la si pronuncia, e che ha il dono di farci cogliere l’essenza. Come fa la spola con il tessuto.

Maddalena Giovannelli