Veronica Polverelli_ redattrice di A critic mess!
Irene Petra Zani_ concept e drammaturgia di Bastarda
Giacomo Cella_ paesaggio sonoro di Bastarda
VERONICA. Com’è nato lo spettacolo?
IRENE. Questo spettacolo ha avuto una gestazione lunga e molto variegata. È nato due anni e mezzo fa da un primo lavoro di Noemi e Desirè: è stata lei a creare l’opera che vedete in scena [il mantello di cozze], mentre Noemi ha cominciato a dare vita a questa “seconda pelle”. Dal loro percorso è nato un primo spettacolo che si chiamava Ne Bouge pas, con una residenza a teatro Acropolis e a Campsirago, dove è stato rappresentato. Trattava il tema dell’attesa amorosa. Dopo questo primo studio, ci siamo conosciute. Mi hanno chiesto di guardare il video e di dire cosa si potesse tirare fuori da un lavoro che sentivano ancora incompleto. Nel momento in cui ho visto “la pelle” di Desirè, aperta su un prato, a casa sua, nell’agosto del 2016, mi è subito venuta in mente la Pangea, l’unione delle terre emerse.
V. Un richiamo visivo?
I. Esatto. Quello che ho pensato è stato il tema dello straniero, o del mostro, o dell’ibrido. Noemi e Desirè hanno accolto questi fuochi che ardevano nella mia testa, e da lì abbiamo cominciato un altro studio (andato in scena a Teatro Invito) che portava già il titolo che ha ora lo spettacolo. E, dopo la residenza a Manifattura K di questo mese, è nato Bastarda come prima ufficiale. Quello che avete visto è appena nato! In questo tempo il mio fuoco non ha mai smesso di muoversi: ho capito che volevo trattare le tematiche che avevo scelto da un altro punto di vista. Il personaggio in scena è la terra, intesa anche come vita e quindi come sviluppo e formazione della vita che non ha confini: dalla continua mescolanza tra gli uomini fino all’uomo come animale ibrido. Volevamo far passare questo continuo percorso dell’evoluzione della specie e di conseguenza dell’individuo, non solo a livello scientifico, ma anche sociale e antropologico.
V. Da qui si spiega la scelta del titolo! Da dove nasce e come si inserisce in questo percorso la partitura musicale e sonora?
GIACOMO. Sono amico da molti anni di Noemi e di Desirè ed ero andato a vedere lo spettacolo di Nebushpa che mi era piaciuto molto, soprattutto per l’idea del mantello di cozze… Sarebbe potuta finire lì, se non fosse che io per lavoro faccio musica e sound design, in genere per le pubblicità. Non avevo mai lavorato per il teatro e non posso certo definirmi un esperto della scena. Ma, con grande piacere, in occasione della debutto dello studio di Bastarda sono state utilizzate alcune mie musiche che avevo preparato in studio.
V. Che musiche erano?
G. Una è quella melodica che avete sentito anche questa sera, quella che fra amici chiamiamo “la danza onirica”, che comincia con alcuni respiri. Ma è stata l’unica traccia che abbiamo salvato dal primo studio. In quel caso ho fatto proprio il mio lavoro abituale: ho composto le musiche in studio, come faccio per le pubblicità, per cui produco da solo le musiche che poi consegno in un CD. Poi, di recente ci siamo detti: “Perché non fare qualcosa di performativo anche dal punto di vista audio?”. Ho avuto già esperienza in questo campo, seguo infatti un progetto di musica elettronica che eseguo live con computer, macchine elettroniche e sintetizzatori, microfoni. Così abbiamo deciso di mettere un microfono sul palco, è una cosa recente, provata poche volte!
I. Davvero, pochissime!
G. Però il risultato è molto buono perché c’è stata una grandissima intesa in particolare con l’attrice Paola Tintinelli: le parti recitate che avete sentito durante lo spettacolo non erano registrate, di fianco a me c’era Paola. Ci siamo conosciuti poco tempo fa e abbiamo fatto una prova: c’è stata subito una grande intesa e sono bastati pochi incontri per fare una lavoro per noi convincente, spero anche per voi!
V. Il fatto che la musica sia qualcosa che accade contemporaneamente al gesto e alla parola, cosa aggiunge allo spettacolo? Cosa ha funzionato, meglio o peggio, rispetto alla scelta di utilizzare una musica preparata in precedenza?
I. Secondo me non c’è un meglio o un poco meglio o un non meglio. È una scelta precisa nata dal desiderio di creare un dialogo tra la partitura fisica di Noemi, la parola e il suono.
V. In effetti si percepisce molto, soprattutto la forte attenzione in ascolto tra le parti.
G. Il risultato è appunto bastardo, è un incrocio tra persone diverse: io ad esempio sono molto istintivo mentre le ragazze sono più riflessive. È un po’ come salire sul palco con una band: ognuno deve fare qualcosa, ma bisogna guardarsi negli occhi e avere gli appuntamenti giusti. Anche dal punto di vista concettuale…
V. L’effetto però è quello di un’unità, anche se tutti gli elementi sono separati fra di loro.
I. È quello il senso dell’opera d’arte di Desirè e anche dello spettacolo. È tutto un filo rosso, è un’ibridazione, nella forma oltre che nel senso.
V. Nonostante ci sia un forte attenzione al selvaggio e poi all’evoluzione, a un certo punto sulla scena compare una pentola. Che significato ha questo strumento che sembra rappresentare un’idea di civiltà in contrapposizione a tutto l’universo che viene rappresentato?
I. A livello di costruzione drammaturgica abbiamo utilizzato il mezzo e l’attività della cucina e del mangiare come metafora della creazione. Anche la scelta del mantello di cozze richiama l’azione creativa: è un magma che rappresenta il fare e il disfare della vita, perché dopo ogni replica d’arte ci sono cozze che si perdono, cadono, si staccano, per cui bisogna sempre ricucirle, dando così un senso di mai terminato. E poi, chi mangerà quelle cozze? Io, tu, gli amici che arrivano a cena. C’è questo continuo processo metamorfico per cui la creazione è anche l’azione del cucinare e mangiare.
V. Il gesto finale del mangiare le cozze sembra quasi un gesto cannibale: il mantello di Noemi diventa come una parte della sua identità, che la trasformava a volte in mostro, altre volte in donna, sensuale e femminile: alla fine è come se mangiasse una parte di sé.
I. Questa interpretazione fa parte sicuramente dello spettacolo.
V. Sembra quasi richiamare elementi mitologici, molto antichi come emerge anche da alcuni passaggi del lavoro. A questo proposito quali sono le fonti della drammaturgia?
I. Il testo è nato quando in sala prove, mentre Noemi stava ultimando la sua partitura. I suoi gesti potevano essere accompagnati tanto da un testo scientifico quanto da uno poetico. Come genere di riferimento avevamo un’intervista allo psicanalista Galimberti che parlava dell’identità, e una seconda fonte poetica, Ossicine della Gualtieri. La mia sfida è stata quindi quella di scrivere una “poesia scientifica”.
V. Quindi è nato prima il movimento, poi il testo e infine il suono. C’è l’idea di un ulteriore sviluppo futuro?
I. No, uno spettacolo non si conclude mai, ma diciamo che siamo arrivati a un punto.
V. Anche perché forse Giacomo non ha voglia di rifare le musiche un’altra volta! [Risate]
G. Non so se questa è la prima o l’ultima volta, o tutte due… io continuo a divertirmi un casino!
A cura di Veronica Polverelli, Daniela Di Carlo e Miriam Gaudio
Bastarda
di Fragile Artists in collaborazione con Fattoria Vittadini
concept e drammaturgia Irene Petra Zani
regia, coreografia e interpretazione Noemi Bresciani
aiuto regia Desirèe Sacchiero e Irene Petra Zani
ideazione e creazione dell’opera PELLE Desirèe Sacchiero
paesaggio sonoro Giacomo Cella e Desirèe Sacchiero
visto a Teatro i di Milano il 14 dicembre 2017