Sul palco di Battleground, gli unici elementi scenici sono una parete rettangolare e la sua proiezione al suolo: un pavimento delle stesse dimensioni. Lo spazio non è prospettico, non c’è nessuna parete laterale che ne descriva la profondità: si tratta piuttosto di una proiezione ortogonale dove la realtà tridimensionale è forzata in due dimensioni. I danzatori agiscono in questo angolo tra un piano orizzontale e uno verticale perfettamente perpendicolari. La musica elettronica e minimale di Steve Roach – prodotta dal vivo – scandisce i movimenti dei danzatori come un pendolo di Newton.

La prima luce che rompe il buio iniziale è un alone arancione flebilissimo, proiettato sulla parete di fondo: non illumina davvero, ma si limita a inquadrare la silhouette di un corpo, l’inconsistente immagine di un’ombra. Finalmente il palco si rischiara, la figura avanza acquisendo tridimensionalità: è Louise Lecavalier ritta in punta di piedi, braccia lungo i fianchi. Ogni suo muscolo compie movimenti impercettibili. Cammina? No. Avanza, ma non cammina: non sentiamo il peso del suo corpo spostarsi da una gamba all’altra: i suoi piedi puntellano il suolo e lei transita come se fosse guidata da binari elettrici. Il movimento è privo di ogni caratterizzazione o pathos: traccia nello spazio disegni geometrici precisi (circonferenze, quadrati, segmenti), come la punta di un incisore laser incide un pezzo di legno.

Battleground è un campo di battaglia navale dove i danzatori si muovono, come su un piano cartesiano, seguendo delle coordinate e tracciando geometrie.

Un luogo dove non c’è spazio né per la terza dimensione né per l’umano: i corpi misurano lo spazio aderendo alla parete, ripercorrendo le diagonali, gli assi o il perimetro del pavimento, oppure seguendo le linee tracciate dalla luce. L’astrazione elimina il sentimento e la partecipazione empatica del pubblico, ma lascia spazio a un’ironia assurda, che dall’astrazione ricava paradossali situazioni narrative: spesso i gesti si fanno quasi descrittivi, ricordando la mimica di certi film muti. Ed è proprio in questa particolare ironia che si può cogliere il legame con Italo Calvino e il suo “Cavaliere inesistente”. Lecavalier e il Cavaliere, Lecavalier è il Cavaliere: uniti insieme a combattere sul campo di battaglia.

Francesca Verga

Battleground
coreografia Louise Lecavalier
interpreti Louise Lecavalier, Robert Abubo
Visto a MilanOltre il 7 ottobre 2017

Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MilanOltreView