Giusto una mezz’ora per quattro chiacchiere e un caffè prima di tornare ai nuovi arrivati, due giovanissimi abitanti di Benedetto Marcello. Michaela Molinari, un sorriso raggiante, ci racconta con passione dell’incontro con la realtà del suo quartiere. Qui, insieme ad altri collaboratori, ha lanciato una Social Street e grazie a FringeMI quest’anno è riuscita a portare qui ben due spettacoli. Il suo sguardo non perde mai di vitalità, neanche quando accenna alle difficoltà che caratterizzano la sua zona e i suoi abitanti, a cui sembra essere molto affezionata. Il tempo è poco, quindi posiamo il cucchiaino e cominciamo subito a farle qualche domanda.

Da dove comincia la tua relazione con il quartiere Benedetto Marcello? E come si è evoluta negli anni?

Dopo una laurea in Lettere e molti anni di lavoro per una ONG, ho lavorato per cinque anni nella Libreria Popolare di Via Tadino. Nel 2015 mi sono proprio trasferita a vivere nel quartiere e ora lavoro per un’agenzia di comunicazione con sede in via Scarlatti, dove ci sarà uno dei palchi del nostro quartiere per questa edizione del FringeMI.
Benedetto Marcello è un quartiere strano: ci sono case residenziali carissime, uno studente difficilmente può permettersi di abitare qui, ci sono soprattutto persone benestanti e piuttosto anziane. Al contempo è un territorio con un alto tasso di immigrazione, soprattutto per il transito di persone dalla stazione Centrale. È innegabile che questi due mondi si parlino molto poco. Così, quando mi sono trasferita, ho voluto replicare una realtà che avevo conosciuto nella zona sud di Milano, dove abitavo prima, e ho fondato una Social Street, proprio con l’intento di mettere in relazione queste due realtà. Mica serve la ronda per rendere il quartiere più vivibile! Negli anni abbiamo progettato numerose attività ludiche e culturali per far conoscere il quartiere e per renderlo un posto vivo, ma anche per sottrarlo a situazioni di disagio, come lo spaccio. Lo scorso anno ci siamo proposti al Fringe festival per portare il teatro nel quartiere e abbiamo ospitato un paio di spettacoli extra, fuori dal cartellone ufficiale. Quest’anno invece siamo entrati a pieno titolo nell’organizzazione! 

Ci racconti meglio questo nuovo ingresso? Quali sono le peculiarità di Benedetto Marcello Fringe festival?

È stato molto bello far parte dell’organizzazione del festival, insieme agli altri quartieri. Ci sono stati inviati 120 spettacoli da visionare e noi, tra persone del nostro quartiere, ci siamo trovati per guardarli e scegliere quali proporre nel nostro territorio. Insomma, lo spettacolo non è stato imposto dall’alto, ma è stato selezionato dalla gente di quartiere. Quest’anno ospitiamo un palco ufficiale allo spazio di co-working Materia: qui verrà rappresentato lo spettacolo People di Raffaella Agate, una riflessione sul mondo dei social. Ed essendo Materia un’agenzia di comunicazione che lavora sui social è interessante, e divertente, rivedersi in qualche modo in scena, guardarsi criticamente. Materia è una realtà ben inserita nella vita di quartiere, con un ruolo molto attivo. L’altro palco di Benedetto Marcello sarà il Birrificio Italiano, proprio di fronte al Memoriale della Shoah. È un luogo difficile, con un tasso notevole di criminalità e il Birrificio cerca un po’ di presidiare il territorio, proporre attività culturali. E visto che all’interno hanno a disposizione un palco… 

È molto interessante il discorso sui due “mondi distanti” che vivono lo stesso quartiere. Come convivono queste due anime? Come si fa a farle incontrare davvero?

A dire il vero, si parlano molto poco. Per noi è difficile entrare in relazione con entrambi i mondi, sono entrambi molto chiusi. È indubbio che vi sia un problema di criminalità, ma sicuramente c’è una narrazione troppo enfatica su questo aspetto del quartiere. Non è vero che dobbiamo girare con il coltello! Noi ci impegniamo per smontare questa narrazione, per rendere il quartiere un luogo vivo, ma non sempre è facile. Abbiamo organizzato qualche festa di quartiere, cercando di coinvolgere i vari attori del territorio, ma non tutti partecipano. Eppure qualcosa si è mosso. A me piace molto questo “alto” e “basso” che si mescolano, ma forse rimangono un po’ a compartimenti stagni. Pensa che fra poco nascerà il primo hotel a sette stelle proprio qui, in via Scarlatti.

Pensi che il FringeMI possa essere un’opportunità di rilancio per la comunità, soprattutto per i più giovani?

Sicuramente. Nel nostro quartiere, per esempio, gli adolescenti non sono molto presi in considerazione. Mi fanno quasi tenerezza i ragazzi del Volta, che non hanno molti luoghi di ritrovo o adatti a loro, eppure vengono sempre un po’ maltrattati. Mi piacerebbe che il teatro, così come altre forme aggregative, facessero presa su di loro. Sarebbe bello se coinvolgessimo anche i ragazzi nella scelta di uno spettacolo per il quartiere. Spesso gli adulti si sentono in dovere di spiegare agli adolescenti quello che devono fare e quello che deve piacere loro, dovremmo invece ascoltarli e chiedere un po’ di più il loro parere. 

Immaginati tra quarant’anni: sei la regista di un film dedicato al tuo quartiere. Come inizia?

Non ci sono più le macchine! È un quartiere pedonale e di biciclette. E poi mi piacerebbe una biodiversità delle attività commerciali. Vorrei che sparissero le grandi catene e vorrei vedere piccole, nuove botteghe e i negozi spariti negli ultimi anni, perché non riuscivano più a competere e mantenersi. E i negozi multietnici. Nel film ci sono io che scendo per strada, che non mi devo preoccupare di essere investita da un’automobile. Sotto casa, trovo i miei amici seduti al bar, non li ho invitati, ma loro sono lì come ogni sera.

Andrea Malosio, Riccardo Serra