Il testo qui pubblicato è apparso nel numero di febbraio 2024 di Stormi, il magazine mensile, a cura della redazione di Stratagemmi – Prospettive Teatrali, dedicato alla Stagione 2023/24 del Piccolo Teatro di Milano e realizzato da un gruppo di studenti e studentesse dell’Università degli Studi di Milano.
«Faccio teatro, non giornalismo d’inchiesta: posso raccontare cose verosimili, senza che debbano essere del tutto vere». Così Francesco Alberici, autore e personaggio, inquadra la prospettiva da cui ha deciso di dare voce alla complessa vicenda lavorativa di suo fratello e ai rapporti di forza da lui subiti in azienda, tra silenzi omertosi e pressioni minatorie. Le parole citate si trovano in apertura del libretto di scena di Bidibibodibiboo, testo finalista nel 2021 al Premio Riccione per il Teatro e ora nuova creazione di cui Alberici è anche regista e interprete. Il ben congegnato meccanismo drammaturgico ruota attorno al desiderio di raccontare un fatto realmente accaduto: Daniele (Daniele Turconi), regista e attore – vera e propria controfigura teatrale di Alberici – vuole mettere in scena la storia di una tentata “istigazione al licenziamento” ai danni di suo fratello Pietro da parte di una grande azienda (il nome è censurato, così come i dettagli della vicenda). «La ricostruzione della storia di mio fratello anche se è basata su fatti reali è un puro frutto della mia immaginazione»: ancora una volta, in scena, è in discussione il labile confine tra realtà e finzione, e viene rivendicato il potere trasformativo e trasfigurante dell’arte. Non è tanto una questione di esattezza – di perfetta coincidenza tra rappresentazione e mondo esterno – quanto piuttosto una possibilità di pubblica riflessione e poi, auspicabilmente, scintilla d’azione e cambiamento. La scelta di reimmaginare e trasfigurare gli eventi rappresenta, in realtà, una chiave d’accesso efficacissima alla sfera dei timori e delle paranoie inconfessabili, dei desideri profondi, dei nodi irrisolti più intricati.
Alcune scene oniriche, tra le più riuscite dello spettacolo, sembrano portare all’emersione di frammenti di realtà, come quando Pietro sogna di accompagnare al pianoforte una figura femminile (Maria Ariis) creata dal suo inconscio come una conturbante fusione della madre e della manager dell’azienda: così il corpo materno dà voce agli stralci della discussione avvenuta tra le mura di casa nel corso della giornata, ma anche alle machiavelliche parole pronunciate dalla sua responsabile per spingerlo a licenziarsi. La frustrazione rispetto all’impossibilità di rispettare gli standard lavorativi richiesti si unisce al peso delle pressioni esercitate dalle aspettative e dal giudizio altrui, in primis quello materno. Come il sogno lascia emergere il rimosso psichico, così lo stesso avviene nel corpo di Pietro: le manifestazioni cutanee e l’aumento del peso – è Daniele a insistere su questi aspetti, nel dialogo con il fratello – mostrano lo stato psico-emotivo che si vorrebbe provare a nascondere. Il corpo e l’aspetto fisico si rivelano il campo d’azione per ambigue sopraffazioni. L’azienda rivendica per esempio un’apparente informalità, patina di meccanismi subdoli di coercizione e mobbing: non è necessario indossare vestiti eleganti, né essere troppo legati al rispetto degli orari di lavoro, meglio invece concentrarsi sul rendimento e sulla produttività, ricordandosi che si è sempre sottoposti a valutazione, messi alla prova in una performance continua, dai confini labili, e quindi inesistenti.
La ricostruzione progressiva della storia lavorativa e della vita di Pietro coincide quasi esattamente con la creazione dello spettacolo di Daniele e con la realizzazione delle prove; una convincente correlazione drammaturgica che si riflette anche nella scenografia ideata da Alessandro Ratti. Pezzo per pezzo, gli elementi scenici vengono liberati dai grossi scatoloni che li contengono e che costellano il palco sin dall’inizio, per essere messi al servizio del racconto senza mai descrivere ambientazioni realistiche, ma evocando solamente luoghi concreti e spazi dell’immaginazione. Improvvisamente, però, questa concatenazione viene interrotta: la realizzazione dello spettacolo viene sospesa e messa al vaglio, il “vero Pietro” (Salvatore Aronica) si nega all’appropriazione finzionale della sua storia, non vuole apparire come una vittima agli occhi del pubblico, in fin dei conti la sua condizione è frutto anche di scelte da lui compiute e attuate. Lo scontro tra le posizioni dei due porta all’emersione di alcuni interessanti fulcri nodali dello spettacolo, che si dipanano attraverso un dialogo serrato e vivace, comico e amaro allo stesso tempo: la corrispondenza tra le condizioni dei due fratelli, nonostante i differenti contesti professionali, le ipocrisie e le illusorie pacificazioni del lavoro culturale, la difficoltà del linguaggio teatrale nel creare un vero sommovimento di realtà. Cosa accade quando una produzione culturale si ferma? Quali sono i ricatti lavorativi espliciti o impliciti che può subire un artista? Così Bidibibodibiboo riesce a problematizzare non solo il processo di appropriazione della realtà che l’arte, il teatro, compiono nel momento in cui tentano di attuare un’attivazione dello spettatore su questioni politicamente rilevanti, ma rivela anche le fragilità del lavoro legato alla passione, dichiarando che il mestiere del regista, del drammaturgo e dell’attore «è molto più simile agli altri lavori di quanto [Pietro, ma non solo, n.d.r.] pensi». L’incontro-scontro tra i due fratelli si svolge quasi interamente ai lati di un tavolo giallo in formica, riproduzione fedele della quasi omonima opera di Maurizio Cattelan Bidibidobidiboo – riprodotta anche nel libretto di scena – dove, in una scala decisamente ridotta, siede uno scoiattolo con il capo riverso sulla superficie liscia, con un bicchiere abbandonato davanti a lui e una pistola a terra, caduta dalla zampa. Alberici ricrea un identico setting, ma inserisce una variazione significativa: la tragica solitudine dello scoiattolo suicida lascia il posto al dialogo, seppur conflittuale, tra Daniele e Pietro. Entrambi hanno davanti a loro non il vuoto, bensì l’altro, una possibilità di salvezza ma anche di confronto necessario con ciò che invece, troppo spesso, collochiamo nella sfera del rimosso collettivo.
Alice Strazzi
immagine di copertina: foto di Masiar Pasquali
BIDIBIBODIBIBOO
regia e drammaturgia Francesco Alberici
aiuto regia Ermelinda Nasuto
scene Alessandro Ratti
luci Daniele Passetìri
con Francesco Alberici, Maria Ariis, Salvatore Aronica, Andrea Narsi, Daniele Turconi
pianoforte Carlo Solinas (20 febbraio), Ario Sgroi (21 febbraio – 3 marzo)
realizzazione scene e costumi Officina Scenotecnica Gli Scarti
produzione SCARTI Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione
in coproduzione con Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, Ente Autonomo Teatro Stabile di Bolzano
con il sostegno di La Corte Ospitale
si ringraziano Alessandra Ventrella, Davide Sinigaglia e Ileana Frontini
testo creato nell’ambito dell’École des Maîtres 2020/21, diretta da Davide Carnevali finalista alla 56a edizione del Premio Riccione per il Teatro