Geologia, astronomia e fisica hanno acquisito solo in tempi recenti, se paragonati alla storia dell’umanità, la loro nomea di scienze dure. Per millenni tanto il movimento degli astri quanto quello delle viscere della terra erano connessi a una dimensione divina, religiosa, a tratti magica. All’incantesimo del moto Fabrizio Favale, nel suo dittico Black Mountains – Astral Propeller, dona fisicità e corpo, tracciando un percorso dalla terra al cielo. 

All’ingresso iniziale in scena — uno spazio vuoto, permeato da una leggera foschia —  tre dei sei danzatori della compagnia Le Supplici sono avvolti completamente dal nero di grossi teli, sotto cui si agitano come lava negli abissi della terra. Il velamento dei corpi non intrappola, ma amplia la possibilità di percezione dei movimenti. Ogni gesto guadagna profondità temporale: lo strascico del lenzuolo nello spazio ne fa sopravvivere più a lungo la traccia. Al moto spasmodico dei danzatori velati si contrappone la solidità e robustezza degli altri a torso nudo: ogni loro movimento nasce e muore in un attimo di stasi verticale, in una scultoreità non umana, o, viceversa, in un movimento geologico interpretato da membra umane.  

Fin da principio le sonorità meditative cullano i sensi e ci trasportano in una dimensione altra dove regna un’atmosfera sospesa, preistorica, prerazionale. Dall’avvolgente e onnipresente nota di fondo emergono a un tratto con insistenza cinguettii e richiami di uccelli: è il momento del passaggio a una dimensione antropomorfa, dettato visivamente dall’utilizzo di tre lunghi bastoni, con cui viene misurato il terreno tracciando dei cerchi, quasi a significare la volontà tutta umana di razionalizzare lo spazio circostante, per comprenderlo e innalzarsi a padrone di esso. L’ambiente, quello della giungla, è minaccioso e ostile e uno dei suoi ambiziosi conquistatori sembra venire intrappolato da una fune-serpente e squartato da bestie feroci. L’umano, gravitazionalmente legato al terreno, non può che rappresentare solo una fase nel percorso ascensionale intrapreso.

Nello sforzo di abbandono della sfera cognitiva si sprigiona la forza armoniosa dei movimenti collettivi dei performer. Si tratta di una rinuncia volontaria all’accoppiamento immediato e sistematico tra atto fisico e significato dello stesso. La possibilità di cogliere la qualità corale ed espressiva dell’itinerario narrativo risiede nella rifocalizzazione visiva e sensoriale: è necessaria una ricerca di equilibrio anomalo tra intuito e logica. Non pura resa al non-senso, bensì una ridefinizione del proprio personale canone di concretezza per porlo a servizio dell’osservazione e sistematizzazione di ciò che fisicamente avviene sul palco: alla fine del primo spettacolo, rimane in scena, solo, un danzatore nero-piumato, che, nei movimenti, sembra saggiare le proprie possibilità di volo. Una volta di più alla fluidità e precarietà del singolo gesto, corrisponde la densità del suo portato simbolico. 

Al riaprirsi del sipario, i sei danzatori, questa volta ricoperti da tutine argento-lucido, prestano il loro corpo a una partitura di ingegneria coreografica dove i movimenti evocano, senza imitare, le parti di un congegno che ha prospettive extraterrestri. Le qualità astratte, non le forme rigide del movimento, conquistano i corpi dei performer: la vorticosità di un avvitamento ipnotizza come un bullone, la spinta degli arti sprigiona l’energia di un pistone. 

L’equilibrio e la simmetria dei movimenti rilasciano una dolcezza meccanica. Una danza, che in certi momenti richiama quella dipinta da Matisse, pone in dialogo — all’apparenza ossimorico — la fluidità del girotondo e la rigidità dell’ingranaggio. L’unione dei due genera la propulsione verso l’alto, l’ignoto, dove spesso lo sguardo dei sei si rivolge. L’elica del titolo è stata avviata; il tappeto sonoro dai toni misteriosi, tra le profondità del mare e quelle dello spazio, si anima, così come il fondale bianco che si colora delle sfumature dell’aurora boreale. La Terra, ormai, è solo un ricordo.

Riccardo Serra


Black Mountains

ideazione e coreografia Fabrizio Favale
set, costume e art work First Rose
musiche Pierre Desprats, Christian Fennesz, M83, Sigur Rós
danzatori  Daniele Bianco, Daniel Cantero, Pietro Conti Milani, Alessio Saccheri, Daniel Tosseghini, Po-Nien Wang
co-produzione Festival MILANoLTRE, Klm – Kinkaleri / Le Supplici / mk
con il contributo di MIC, Regione Emilia-Romagna, Comune di Bologna
con il supporto di h(abita)t – Rete di Spazi per la Danza / Teatro Consorziale di Budrio

Astral Propeller

ideazione e coreografia Fabrizio Favale
set, costume e art work First Rose
musiche Christian Fennesz, M83
danzatori  Daniele Bianco, Daniel Cantero, Pietro Conti Milani, Alessio Saccheri, Daniel Tosseghini, Po-Nien Wang
produzione Klm – Kinkaleri / Le Supplici / mk
con il contributo di MIC, Regione Emilia-Romagna, Comune di Bologna
con il supporto di h(abita)t – Rete di Spazi per la Danza / Teatro Consorziale di Budrio
Realizzato in residenza artistica presso Teatro Consorziale di Budrio

Ph. ©First Rose

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