«Io detesto il calcio»: sei danzatori a terra esausti, il brusio di sottofondo di una telecronaca calcistica in francese e un’asta di microfono alla quale un danzatore si appoggia per urlare la frase che dà avvio all’intreccio di testo e danza che compone Boys don’t cry. Per tutta la durata dello spettacolo, infatti, una drammaturgia – firmata da Chantal Thomas, storica e scrittrice francese, e tradotta in italiano da Rino De Pace con la collaborazione di Ezio Sinigaglia – accompagna e si alterna alle sequenze coreografiche di sette danzatori della Compagnie Hervé Koubi. A turno essi offrono la propria voce al piccolo romanzo di formazione di un ragazzo arabo, tra il rapporto difficile con genitori e insegnanti e la fatica dell’interazione con coetanei con i quali non si ha nulla in comune. 

La danza si mette quindi al servizio di un vero e proprio racconto con un incipit, uno svolgimento e una conclusione, prestando la capacità espressiva ed evocativa delle sue figure plastiche alle parole che, nel frattempo, svelano la storia. Il testo, dal tono fortemente ironico, tipico di una stand-up comedy, concede quindi un costante sostegno di cui il pubblico adolescente – target primario di Hervé Koubi – può servirsi per interpretare il significato dell’opera. Infatti, tra richiami alle dinamiche di gioco di una partita di calcio e sequenze che simulano un combattimento di judo, vengono rivelati i tormenti del giovane, costretto dalle aspettative dei genitori a svolgere attività odiate e umilianti, nonostante la grande – e inconfessata – passione per la danza. La volontà di rovesciamento e decostruzione degli stereotipi di genere, cristallizzati anche dagli sport e dalle occupazioni extrascolastiche sin dalla più giovane età, si fa via via sempre più centrale, soprattutto grazie al supporto del testo che ha il pregio di intervenire ed esplicitare quello che la danza fatica nel comunicare a un pubblico non abituato a questo tipo di linguaggio. Tale operazione si rivela estremamente efficace dal punto di vista del coinvolgimento e della trasmissione di contenuti, anche se talvolta ciò avviene a discapito della coreografia che si fa didascalia al testo e cede a un ruolo più marginale, sopraffatta dall’urgenza di veicolazione di concetti. Una vera e propria lezione sull’importanza del lottare per la realizzazione di sé e per l’abbattimento delle barriere rappresentate dai ruoli sociali precostituiti, che rischiano di diventare insormontabili quando si scontrano con la fragilità di un’identità ancora in costruzione.

Arianna Allegretti

foto di copertina: Frederique Calloch

BOYS DONT’ CRY
testo Chantal Thomas – Hervé Koubi
versione italiana di Rino Achille De Pace con Ezio Sinigaglia
interpreti Badr Benr Guibi, Mohammed Elhilali, Oualid Guennoun, Bendehiba Maamar, Nadjib Meherhera, Houssni Mijem, El Houssaini Zahid
musica Diana Ross – Oum – Chants traditionnels russes/russian traditional songs
musiche originali Stéphane Fromentin
arrangiamenti Guillaume Gabriel
disegno luci Lionel Buzonie
costumi Guillaume Gabriel
produzione Compagnie Hervé Koubi
coproduzione Centre Chorégraphique National de Créteil et du Val de Marne – Compagnie Käfig / Théätre de Cusset – Scène conventionnée – Scène régionale d’Auvergne.
con il sostegno di Channel – Scène Nationale de Calais / Conservatoire de Calais / Conservatoire de Musique et de Danse de Brive-la-Gaillarde / Ecole Supérieure de Danse de Cannes – Rosella Hightower / CDEC – Studios actuels de la danse de Vallauris / Ville de Vallauris / Conservatoire de Calais.
con il supporto della Fondazione Nuovi Mecenati – Fondazione franco-italiana di sostegno alla creazione contemporanea


Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview