Ogni anno, un centro di ricerca australiano chiamato Institute for Economics and Peace analizza la situazione politica in 163 paesi per elaborare il Global Peace Index, una classifica di quanto siano pacifiche le diverse regioni del mondo. Stando ai risultati della ricerca, per il quattordicesimo anno consecutivo, l’Islanda ha conquistato il primo posto nella classifica 2021, riconfermandosi ufficialmente come il paese più pacifico della Terra.

Secondo le classifiche dell’istituto, che tengono conto di fattori come il funzionamento del governo, i livelli di corruzione, i tassi di criminalità violenta, i tassi di carcerazione, attacchi terroristici, importazioni ed esportazioni di armi e spese militari, l’Europa è la regione geografica più sicura al mondo, dal momento che vi si trovano sei dei primi dieci paesi più sicuri al mondo: dopo l’Islanda troviamo la Danimarca, il Portogallo, l’Austria, l’Irlanda, la Repubblica Ceca.

Già nell’editoriale che presentava il focus sulla drammaturgia islandese di questa rubrica, firmato da Riccardo Corcione, si parlava di Islanda dei record. Allora viene spontaneo chiedersi: di quali narrazioni e autonarrazioni sarà capace un paese caratterizzato da tante peculiarità? Che rapporto ci sarà tra la restituzione il più possibile oggettiva dell’immagine di questo luogo attraverso i numeri e le analisi scientifiche , e il panorama istintivo e mutevole che si sprigiona dalle sue storie e dal suo folclore?

Ed eccoci a parlare di storie: Breaker è la traduzione scozzese di un’opera teatrale islandese intitolata And the Children Never Looked Back scritta dalla drammaturga Salka Gundsmóttdir. L’autrice, classe 1981, è nata a Reykjavik, dove attualmente risiede e lavora come scrittrice e traduttrice. Nel 2007, il suo racconto One of the Lads ha vinto il primo premio al concorso annuale sul genere narrativo giallo organizzato dall’Icelandic Crime Association. La sua prima opera teatrale Mizzle Rock/Súldarsker è stata presentata nella rassegna European Theatre Today 2012 come uno dei migliori nuovi spettacoli del continente. And the Children Never Looked Back è stato messo in scena all’interno della stagione “A Play, a Pie and a Pint” all’Òran Mór di Glasgow nel settembre 2012 ed è stato successivamente sviluppato in Breaker. È stato premiato come miglior spettacolo all’interno del festival Adelaide Fringe 2013 e successivamente è risultato vincitore del prestigioso Underbelly Edinburgh Award. L’opera è successivamente andata in scena all’Underbelly Cowgate durante l’Edinburgh Fringe 2013.

La vicenda è sviluppata in un atto unico e si svolge in una «school class room on a remote, small island somewhere». Qui è approdato Daniel, aspirante scrittore disilluso e da lungo disoccupato, per indagare sulla sua genealogia nella speranza di alimentare e dare una svolta alla propria dimensione artistica; è infatti quell’isola remota il luogo in cui è cresciuta sua nonna.  Il ragazzo, che viene da una grande città, è sensibile al senso di solitudine e alle suggestioni offertegli dai miti dell’oceano, le stesse storie che sua nonna era solita raccontargli quando era bambino. Mentre visita una scuola apparentemente deserta, viene interrotto da Sunna, un’insegnante scontrosa, che sta facendo i conti con la tragicità del terribile evento che ha colpito gli abitanti dell’isola: il misterioso suicidio di cinque ragazzi, poco più che bambini. L’accaduto sembra richiamare le eco delle stesse leggende dalle quali Daniel è affascinato e impaurito. Quello che segue è un’esplorazione tesa e inquietante dell’atmosfera claustrofobica tipica delle piccole comunità, e dei miti generati dalla scia lasciata da eventi traumatici.

SUNNA: I know. You have a degree in something useless you liked the sound of when you were eighteen, but when you finished university, you realised it didn‘t actually add up to much, nor give you regular employment. You‘d spent three years reading the occasional book and 15 drinking very occasional pints, staying out and sleeping in and thinking about maybe creating something instead. Like a novel, a film or a play, something like that … or maybe just thinking about thinking about things was enough. Never actually doing any t hing. Just sort of waiting for it all to happen to you. Click into place…You skipped the early morning lectures. You always felt sure you were on the verge of greatness, if only the stars would shuffle into alignment, if only this, if only that – then you‘d get to experience something valuable. Something real. Share your latent talents with the world. Have epiphanies. Be chosen.

DANIEL: Aye. Very deep, lady. Mon, fill yer boots…

SUNNA: Then you went back to live with your parents, tail firmly planted between your legs, or you shared a dingy, damp, grubby little flat with other like- minded lost souls. You worked at something dismal and mediocre and very temporary, it was only ever supposed to be short term until the real thing happened to you. The magical role, your calling, that was always just around the bend, tantalisingly out of reach. Then you either went back to university to study something a bit more practical, like teaching or library studies, or you gradually slid into wallowing self-pity and another job you never really wanted. You still think it‘s out there, you‘re getting closer to it, it’s going to be your gateway to something mighty. That‘s why you‘ve come here. For inspiration. To pilfer memories and stories from others and manipulate them for your own cause.

DANIEL: What a load oh bollocks. An this fae the wee wifie stuck oot in the back oh beyond.

La scogliera di Vatnshellir, foto di Fabio Mauri, 2018

Breaker, in senso fisico, è una drammaturgia con una precisa collocazione nel tempo e nello spazio: si presenta come un unico atto sviluppato interamente attraverso il dialogo tra due soli personaggi, in un luogo preciso e in un ragionevolmente breve lasso di tempo che coincide col tempo della rappresentazione. Tuttavia tale contestualità è continuamente minata dal potere evocativo delle parole pronunciate, che hanno la capacità di spalancare subitanei e vertiginosi varchi verso altri momenti storici (vicini o lontani dalla contemporaneità in cui la vicenda è ambientata) e soprattutto verso dimensioni talvolta estremamente tangibili e contingenti, talvolta lontanissime dal realismo e profondamente immerse nel pozzo magmatico delle sensazioni: paura, mistero, dolore, fascinazione. La tensione tra la vicenda narrata e tutti i possibili altrove narrativi, verso i quali l’immaginazione di chi legge potrebbe naufragare, è efficacemente mantenuta dall’autrice sul filo del rasoio. Lo è tanto che sembra quasi di sentire il dolore della lama, nel momento in cui la fantasia che ci aveva condotto a sporgerci sulla sommità delle aguzze scogliere a strapiombo sull’oceano, a sentire il gelo della brezza artica sulle guance e a contemplare il buio profondo dell’acqua, viene bruscamente interrotta e confinata nell’aula scolastica, là dove Daniel e Sunna si ritrovano loro malgrado a sviscerare intrighi e ricordi di luoghi ormai solitari e apparentemente derubati dal fascino magico del passato. Salti linguistici e diversi registri e riferimenti culturali si susseguono nel testo, creando così una narrazione avvincente.

DANIEL: Aye, ah wolfed it, saved ma bacon. Played the glaiket tourist the day. Been to the shop and bought a postcard in ah. Then ah mooched aboot the dockside for a bit. A few rattling junkers, that’s ah. It was creepy. Like a ghost toon. Naebuddy aboot. I suppose there‘s no that much to dae aroond here.

SUNNA: To do? What do people normally do that can‘t be done over here? I‘d have thought most people just live their lives and get on with it, wherever they choose to do so. This island isn‘t full of ghosts. Far from it.

DANIEL: Sorry. Didny mean tae cause offence.

SUNNA: (sizing him up) I swear you seem to be getting younger by the minute.

DANIEL: What‘s that supposed tae mean? (silence, no reply) There‘s a weird vibe here, though, int thur? Twilight Zone. (she’s smiling at him, still thinks he’s pleasantly naive) Get me? Something odd happened when ah wobbled aff the ferry. Got a bit green about the gills on the wie oer, seasickness know, so ah rested by the jetty, fixing ma sealegs…Took ma backpack aff and planked masel doon on it. I was looking yonder taking it ah in. Getting the lay of the
land. Seeing things ma granny hud ah those moons ago. Feeling a bit overwhelmed by it. Then I spots this shape, this teensy figure, a wee waif, up on that high cliff, the jaggy wan that comes straight out the surf like a rocket, oer on the northern side.

SUNNA: Well, there you go, so you did see someone after all.

DANIEL: Aye, well, as ah says, something was aff, didny feel right. The figure was sort oh bending oer, crouching doon, right at the edge oh the cliff. It had a coat on, or a parka or something, and the hood was up so I couldny really make oot if it was a lad or a lassie, know? I thought it glanced at me for a mo so I waved, like that, but the wee skelf didny move. Fucking eerie. It was still there when ah staggered aff. Just hunched up right by the edge. Like a wee birdie. A
sparra poised tae take aff. Didny look like a real buddy, more like a … ah don‘t ken. An apparition, know?

SUNNA: Apparition. Oh yes, that will be the pixies, Daniel. Aren‘t you a bit old to believe in sprites?

The Fairy Princess, illustrazione di John Bauer, 1905

Per parlare ancora di storie: nel numero 237 della serie omonima, intitolato All’ombra del vulcano, persino l’indagatore dell’incubo Dylan Dog si convince a superare i disagi comportati dal mal di mare pur di sbarcare sull’isola di Draganfiördur (che non esiste ma riproduce scopertamente le ambientazioni islandesi) e confrontarsi con il suo popolo nascosto, huldufólk. La mitologia norrena è senza dubbio ricca e seducente e non a caso i personaggi di Breaker si interrogano sin dall’inizio sull’interessante tema dell’appropriazione culturale, su che diritti si abbiano o meno su storie che non sono le nostre. Ovvero, si interrogano su quanto lo spirito di un luogo e di un popolo siano disposti a farsi percorrere pacificamente da uno sguardo (a volte plausibilmente impertinente) nuovo ed estraneo. 

E così, innervata da riflessioni attuali e spunti immaginativi vividi, questa drammaturgia esprime nel complesso un contenuto consapevole e calibrato, che talvolta appare non seguire fino in fondo la profondità di sviluppo dei temi e la potenza delle immagini che contiene. È come se a tratti la narrazione, sul margine della scogliera che conduce all’acqua più pericolosa e impenetrabile, anziché spiccare il salto si fermasse a ricercare un clima più tiepido, impedendoci di vedere cosa potrebbe esserci oltre.

Eccoci di nuovo di fronte al tema dello sguardo del lettore e del complicato rapporto tra chi conduce la narrazione e chi la segue, affiancando il narratore ma inevitabilmente un passo indietro. Se è vero che l’azione di guardare, in senso figurato, non può essere impedita dal momento che l’immaginazione è dotata di occhi efficacissimi, è altrettanto vero che guardare e poter vedere non sono sinonimi: e questa volta ciò che sarebbe stato più interessante poter vedere, ci aspettava forse in fondo alla scogliera dalla quale non ci siamo tuffati.

Fabiola Fidanza


Il testo, grazie al progetto Fabulamundi, può essere richiesto con una mail a [email protected].