Si fida del teatro, Romeo Castellucci. E della possibilità che un’immagine, se costruita con sufficiente rigore e senza fretta, spalanchi una vertigine e strappi per un momento lo spettatore dal bulimico flusso comunicativo di ogni giorno.
Bros – presentato al Festival Fit di Lugano, e ora in replica in Triennale a Milano – immerge il pubblico fin dai primi istanti nell’ipnotico paesaggio sonoro di Scott Gibbons, in una luce cupa e vaporosa, nei rumori sinistri delle grandi e misteriose macchine presenti sul palco. Dall’oscurità emerge a poco a poco un uomo, in tunica bianca: pronuncia in una lingua oscura parole profetiche. È Valer Dellakeza, star del teatro rumeno, uno dei pochi attori professionisti che occuperanno il palco. Il resto del cast è composto da semplici cittadini che hanno accettato di prestarsi al gioco; compariranno sulla scena in divisa da poliziotto, vincolati a eseguire ogni ordine che verrà loro impartito esattamente come le forze armate sotto giuramento militare.
Il meccanismo su cui si posa la drammaturgia scenica di Bros è l’eterodirezione: il performer in scena agisce seguendo indicazioni che gli vengono trasmesse a distanza per via audio, e deve reagire nel “qui ed ora” senza potersi soffermare troppo sui significati e gli effetti di ciò che ascolta. Le implicazioni di questa pratica dal punto di vista attorale sono state estesamente esplorate dal gruppo romagnolo Fanny&Alexander, che da anni indaga la possibilità di aggirare, attraverso l’eterodirezione, le più trite abitudini recitative e gli automatismi della lettura psicologica del personaggio. In questo caso la coincidenza tra la forma scelta e il contenuto dello spettacolo è lampante. I performer di Bros, che in alcuni casi non sono mai stati su un palco, non possono affidarsi a un’esperienza preesistente, ma solo al diktat che ricevono; la voce che li guida – indiscutibile – arriva da un altrove e non si espone alla vista e all’errore. Come di consueto, Castellucci duetta con l’attualità senza per questo lasciarsi schiacciare dal limitato immaginario della cronaca. Il naturalismo della divisa e la chiara allusività di alcuni quadri (violenza verso figure inginocchiate; sangue sul volto; esplicite scene di tortura) conducono lo spettatore a evocare i più recenti e celebri scandali che hanno investito le forze dell’ordine, e a far riverberare sul tessuto dello spettacolo il dibattito rivivificato dall’anniversario del G8 di Genova. La composizione della scena, tuttavia, porta costantemente altrove. Grandi polaroid ad altezza d’uomo, che mutano e si susseguono come sfondi scenografici d’antan, mostrano icone stranianti, come animali o templi antichi; vengono srotolati, contemporaneamente, grandi manifesti neri (firmati da Claudia Castellucci) con motti in latino che paiono richiamare la rigida educazione militare dell’impero romano. La drammaturgia dello spettacolo (curata in dialogo con Piersandra di Matteo) sembra cioè riportare continuamente alla profondità storica dei meccanismi di potere, alla loro natura archetipica e universale.
A partire da questo invito all’astrazione, siamo dunque chiamati a leggere le azioni eterodirette dell’esercito dei Bros non solo come riflessione sulle forze dell’ordine, ma anche – soprattutto? – in chiave metateatrale. Nel fondamentale testo Attore il tuo nome non è esatto (2011), Castellucci chiarisce infatti che l’attore «non è colui che agisce quanto piuttosto colui che viene agito. Sono le Potenze che occupano il corpo dell’attore e lo fanno agire. In definitiva sono la presenza e lo sguardo del grande Altro (…) che fanno muovere l’attore». Il codice comportamentale che i performer hanno dovuto sottoscrivere (ne viene consegnata una copia anche al pubblico) sancisce la loro disponibilità a eseguire l’indicazione anche laddove questa non risulti pienamente comprensibile; proprio come accade in virtù del patto, talvolta di cieca fiducia, che lega l’attore al regista.
Ma l’Altro che muove il corpo dell’attore è davvero solo il regista? O forse quel motore dittatoriale e incomprensibile che guida i movimenti è in realtà lo spettatore? In una delle scene più impressionanti dello spettacolo, un informe idolo-fantoccio senza volto guida come un direttore d’orchestra i movimenti dell’ubbidiente moltitudine in divisa. Il pubblico potrà, in prima battuta, guardare la dinamica con curiosità entomologica o con indignazione, come se non lo riguardasse; poi, forse, potrà chiedersi se l’esecuzione cieca delle indicazioni non riguardi in qualche misura anche sé stesso. Infine, se desidera percorrere la voragine che Romeo Castellucci sta spalancando davanti ai suoi occhi, gli toccherà indagare quale rapporto esiste tra il cieco idolo detta-ordini che ha davanti e la figura stessa dello spettatore.
«È lo spettacolo che guarda lo spettatore?», si chiedeva Romeo Castellucci nel 2015. «O forse è lo sguardo dello spettatore che si curva fino a vedere la propria nuca (….). La persona nuda, sotto lo sguardo di tutti, è proprio lui, lo spettatore. La vergogna, chiamata in causa ed essenziale in ogni rappresentazione, è sempre stata la sua».
Maddalena Giovannelli
foto di copertina: Francesco Raffaelli
BROS
concezione e regia Romeo Castellucci
musica Scott Gibbons
dialogo drammaturgico Piersandra Di Matteo
motti Claudia Castellucci
con gli agenti Valer Dellakeza, Luca Nava, Sergio Scarlatella
e con uomini dalla strada
assistente alla regia Filippo Ferraresi
sculture di scena e automazioni Plastikart studio
realizzazione costumi Grazia Bagnaresi
produzione Socìetas
in coproduzione con LAC Lugano Arte e Cultura, Kunsten Festival des Arts Brussels, Printemps des Comédiens Montpellier 2021, Maillon Théâtre de Strasbourg – Scène Européenne, Temporada Alta 2021, Manège-Maubeuge Scène nationale, Le Phénix Scène nationale Pôle européen de création Valenciennes, MC93 Maison de la Culture de Seine-Saint-Denis, Ruhrfestspiele Recklinghausen, ERT Emilia Romagna Teatro Italy, Holland Festival Amsterdam, V-A-C Fondazione, Triennale Milano Teatro, National Taichung Theater – Taiwan